Merate, 30 ottobre 2012 - Ha percorso 100 chilometri nel deserto, tutti d’un fiato. Ha impiegato 17 ore, un minuto e 38 secondi per divorare il massacrante percorso in mezzo al nulla, con il vento che sputa in faccia una sabbia sottile che entra nei polmoni. Affrontando temperature che di notte non scendono mai sotto i 18 gradi mentre di giorno sfiorano i 30, su un terreno impervio e infido dove ogni passo diventa uno sforzo immane.

Con Angelo Rigoni, 67enne di Merate, venerdì pomeriggio da Chenini in Tunisia sono partiti in 124 per la 100 chilometri del Sahara no-stop, una competizione irripetibile, che ha richiamato selezionati maratoneti da tutto il mondo, soprattutto dall’Italia. Al traguardo dell’oasi di Ksar Ghilane la mattina seguente sono giunti però solo in 108, a riprova della difficoltà della gara. Lui si è piazzato al 74° posto, a una manciata di minuti dal gruppetto di atleti che lo hanno preceduto.

Sperava in un tempo migliore forse, mirava a metterci 15, massimo 16 ore, ma è comunque un risultato eccezionale, non per l’età, piuttosto perché reduce da una lunga influenza che non gli ha consentito di preparasi al meglio. «È stata dura - ammette il podista -. A quasi metà del tragitto ho dovuto combattere contro un brutto mal di schiena. Poi si sono levate delle violente e incessanti raffiche che non hanno concesso tregua, costringendo a proseguire con il volto girato per riuscire a respirare e protegge gli occhi. Ma ho stretto i denti e sono andato avanti, in parte correndo in parte camminando».

All’arrivo ha sventolato la bandiera dell’Inter, la squadra per cui tifa, ma soprattutto sulla maglietta ha sfoggiato il simbolo di Casa Amica, la cooperativa sociale di sostegno ai diversamente abili alla quale è molto legato tanto da portarne il simbolo addosso in tutte le competizioni a cui partecipa. Durante il tragitto si è fermato appena una volta, per rifocillarsi e bere una zuppa, quindi via di nuovo verso l’immensità di un paesaggio che taglia il fiato e non offre punti di riferimento per valutare le reali distanze. A indicare la strada, oltre al satellitare, solo qualche luce di segnalazione, che nel buio pare lì a portata di mano e invece si trova lontano migliaia di metri e sembra non avvicinarsi mai, in un mix di sensazioni.

La fatica, l’esaltazione, il dolore, la paura di smarrirsi, la tentazione di gettare la spugna e il desiderio di arrivare in fondo, che non si possono descrive ma solo sperimentare, perché la forza di volontà e la testa in simili frangenti contano molto più delle gambe. «È tutta una questione mentale, non fisica; bisogna pensare a correre e basta, che è quello che mi piace, il resto sono silenzio e solitudine». Ma mentre si calcano piste sterrate e dune su cui probabilmente nessuno mai ha poggiato prima il piede si vive anche la consapevolezza e la soddisfazione di prendere parte a un’ultramaratona unica nel suo genere. 

Nonostante sia tornato a casa solo domenica in serata per lui è già giunto il momento di guardare oltre, al futuro e progettare le prossime imprese: «Vorrei partecipare anche alle ultramaratone del Cile e a quella d’Egitto, 250 chilometri da effettuare in sei tappe». Perché Angelo Rigoni, a dispetto dei 67 anni e degli innumerevoli successi ottenuti, ha lo spirito e la tempra di un ragazzino e di correre non ne può proprio fare a meno.

di Daniele De Salvo