Lecco, 10 giugno 2012 -«Voglio un po’ tirare il fiato adesso». Lecito per uno che in ventiquattro anni si è concesso il lusso di scalare tutti i quattordici ottomila del globo senza ossigeno. Un po’ meno scontato se si pensa che il tipo in questione, Mario Panzeri, è tornato in cantiere solo quattro giorni dopo il rientro in Italia e a una settimana esatta dall’impresa sulla vetta del Dhaulagiri (8.167 metri). Eppure il Mariolone sembra che alla fine della sua cavalcata di globetrotter del verticale ne abbia un po’ piene le tasche. Anche perché proprio in questi giorni è alle prese con l’organizzazione della festa di questa sera con gli amici più intimi per celebrare l’impresa arrivata il 17 maggio scorso.
 

«È come un matrimonio - ci dice al telefono -. Arriveranno circa 140 persone per fare festa. Chissà che roba». È felice il Mario, balzato agli onori della cronaca suo malgrado, lui che per sua natura non ama per niente la ribalta. Ma ora le pile sono un po’ scariche. «Ho voglia di fare altro - confessa -, magari di iniziare ad arrampicare e tornare in Patagonia». Mario lo fa capire: cerca nuovi orizzonti e senza più lo stress di quell’obiettivo che l’ha riempito di tanta felicità e attenzione ma che - per contro - l’ha costretto a un tour de force micidiale. «Negli ultimi anni ho organizzato anche due spedizioni all’anno - spiega - e non è mica uno scherzetto: è pesante perché significa non tirare mai il fiato e alla lunga ti stanchi da matti».
 

Stanchezza più mentale che fisica, sia chiaro, per un «caterpillar» abituato a sfidare le intemperie e l’aria rarefatta dei colossi himalayani senza l’aiuto dell’ossigeno. Eppure la catena più alta del mondo e le sue genti gli sono entrate dentro e lui, per sua stessa ammissione, se li porterà per sempre con sè. «La roba bella di andare in Himalaya - dice Mario alla sua maniera - è che finisci lontano dal mondo e dalla vita frenetica di tutti i giorni. Quando rientro a Kathmandu dopo un ottomila, rischi di andare fuori di testa perché non sei più abituato a quel caos». In Himalaya è soprattutto bello «conoscere le persone, al di là delle cime - aggiunge Mario -. Anche le amicizie che si creano ai campi base sono qualcosa di diverso, durano di più. Laggiù si è soli e tutto ha un senso più vero e profondo». E se lo dice lui che, a 48 anni ha inanellato tutti gli ottomila, c’è da credergli.
 

andrea.morleo@ilgiorno.net