Valmadrera, 1 maggio 2012 -Stava raccontando del suo sommergibile quando l’infermiera è uscita per un istante dalla stanza dell’ospedale dove era ricoverato. Pochi minuti dopo Mario Rota stava ancora sorridendo, ma si era già congedato dalla vita. Sul comodino era appoggiato l’inseparabile berretto da marinaio. Il sommerbigilista Mario Rota, detto Vanni, se n’è andato a 94 anni mentre ricordava i particolari delle battaglie, i cacciatorpedinieri nel Mediterraneo e il Cobalto, il fiore all’occhiello della Regia Marina Italiana.
Per sessant’anni si era tenuto dentro un’incredibile storia. Un giorno, non molti anni fa, decise di parlare. «Voglio raccontare di quando ho fatto la guerra» disse, e allora fu un fiume in piena. «Sul Times c’erano le fotografie della nostra cattura. Il sommergibile stava per affondare. Io sono quello che si aggrappa alla cassetta di frutta che un inglese aveva lanciato per soccorrermi», ricordava.
 

Sono rimasti in pochi quelli che la guerra l’hanno fatta e possono ancora raccontarla. Vicende affascinanti e dolorose. Quella di Rota era una di quelle, una testimonianza della storia della Regia Marina Italiana, della storia d’Italia e della Seconda guerra mondiale. Sotto le armi trascorse otto anni fra guerra e prigionia. Era originario di Fiumelatte, paesino sul ramo lecchese del lago di Como, sotto le Grigne. Fu arruolato a La Spezia il 15 giugno del ’38 e finì sul sommergibile più moderno della Marina. Potrebbe essere il solo soldato al mondo ad essere ritornato a casa dalla guerra con in tasca il giornale che racconta la sua fortunata avventura. E non si tratta di un giornale qualunque, ma del «Times» di Londra il cui inviato quel giorno raccontò le fasi dell’affondamento del sommergibile. È il 12 agosto del 1942. Mario Giovanni Rota è sul «Cobalto». Nel Mediterraneo infuria la «Battaglia di mezz’agosto».
 

Il sommergibile italiano è colpito dalle bombe sganciate dal «caccia» inglese «Ithuriel». Va a fondo. Poi per miracolo riesce a risalire. «Ci avevano colpito e ormai sembrava tutto finito. Mi rivolsi prima a mia madre e poi alla Madonna. Anni fa un prete mi disse di dare la precedenza alla Madonna, quando raccontavo questo episodio. Io però pregai prima mia madre», ricordava. I marinai italiani si buttano in mare. Gli inglesi li raccolgono dopo essersi accertati che non sono tedeschi. Rota si trova davanti un inglese con il mitra spianato. Teme che gli spari, invece quello gli butta una sigaretta. Comincia la prigionia in Inghileterra che durerà fino all’agosto del ’46. Lì si scontra con una copia del Times su cui ci sono le foto dell’affondamento. «Nascosi quelle carte. Scucii le scarpe e infilai i ritagli dentro le suole».
 

Tornato a casa Rota trovò lavoro come muratore e iniziò un’altra vita. Per tanti anni quella storia rimase “congelata”. “È tutto qui, giorno per giorno, nella mia testa”, disse, e bisognava credergli, perchè Rota quando finalmente decise di affidare la sua memoria al giornalista Emilio Magni si ricordò avvenimenti, nomi, persone e fatti con grande precisione. Si mise il berretto da marinaio in testa e iniziò a raccontare tutto. La sua avventura diventò il libro “Sopra e sotto le onde”, edito da Romeo Sozzi.