Lecco, 26 novembre 2010 - Ieri Eluana Englaro avrebbe compiuto 40 anni, ma il suo compleanno è ancora occasione di polemica. Nonostante sia passato più di un anno dalla morte della donna, la sua storia fa ancora discutere. C’è chi pensa che la scelta del padre di Eluana di bloccare l’alimentazione sia stata corretta, ma c’è anche chi critica ferocemente la decisione, parlando di omicidio. Ieri in piazza Cermenati il movimento “Ora et labora in difesa della vita“ ha organizzato una manifestazione per festeggiare il compleanno di Eluana, ma sono stati in pochi a cogliere l’invito degli organizzatori.Alcuni passanti non hanno nascosto il proprio disappunto e molti hanno rifiutato i volantini che venivano loro offerti.

 

«A Eluana - ha detto la dottoressa Antonella Vian - non è stato permesso di festeggiare il suo quarantesimo compleanno. L’anno scorso abbiamo scelto di celebrare questo momento in forma privata, ma i 40 sono una data importante e abbiamo scelto di uscire allo scoperto. Se stiamo chiusi a pregare, nessuno ci vede e non emerge quello che è il nostro punto di vista».

 

Un punto di vista che non lascia molto spazio alle critiche, come ammette la stessa dottoressa che non nasconde di aver espresso la sua opinione a Beppino Englaro, il padre di Eluana. «Non è stato fatto tutto il possibile per salvare Eluana - ha affermato la Vian -. La ricerca scientifica è stata bloccata a favore di una cultura che promuove la morte sulla vita. Si è sempre parlato di stato vegetativo per definire la condizione della donna, ma è sbagliato. Lei respirava, apriva e chiudeva gli occhi, più che di coma avrebbe avuto senso parlare di stato di vigilanza areazionale».

Alle parole della Vian fanno eco quelle di Giorgio Celsi, infermiere a Carate Brianza e uno dei fondatori del movimento “Ora et labora in difesa della vita”. «Difendiamo la vita dal concepimento alla morte naturale - ha detto -. Eluana è stata lasciata morire di fame da venti infermieri e mi chiedo come sia possibile, perché il loro lavoro sarebbe la cura della sofferenza, non l’eliminazione».