Cassago Brianza, 14 luglio 2010 - Ivano Perego, 38 anni, patron di quella che era la «Perego strade» di Cassago Brianza era uno degli uomini su cui puntavano i vertici della ‘Ndrangheta calabrese per fare affari in vista dell’Expo 2015 ma anche della ricostruzione de L’Aquila. Attraverso l’attività di Tremoncino i capi dell’organizzazione criminale contavano di acquisire aziende in difficoltà e di costituire Ati per gestire gli appalti pubblici in Lombardia e Abruzzo.

 

Per questo quando l’azienda brianzola è entrata in crisi gli imprenditori coinvolti nell’operazione sarebbero stati foraggiati con denaro di provenienza illecita per rimettere in piedi l’attività con l’istituzione di un nuovo gruppo, la «Perego general contractor», una sorta di cavallo di Troia per infiltrarsi alle gare per l’importante appuntamento milanese e del post-terremoto.

 

Nonostante gli sforzi tuttavia l’impresa è fallita e il progetto naufragato. Le manovre occulte però hanno prosciugato le finanze della holding e oltre cento dipendenti tra manovali e impiegati, ignari ovviamente di quanto stava avvenendo, hanno perso il posto di lavoro.

 

Un impiego che purtroppo nessuno potrà più ridare loro, neppure con l’arresto del 38enne per associazione mafiosa, avvenuto l’altra mattina all’alba nell’ambito del più grande blitz mai messo a segno contro la ‘Ndrangheta appunto con le manette a 305 persone affiliate a vario titolo e il sequestro di beni per milioni di euro.

 

Quando i carabinieri del Ros di Milano insieme ai colleghi della Compagnia di Merate si sono presentati a casa sua con in mano l’ordine di cattura, lui è scoppiato a piangere, una scena straziante per la moglie ma risparmiata per fortuna ai figli in quel momento assenti. Sapeva di essere finito nel mirino delle forze dell’ordine ma non si aspettava la retata.

 

Di recente infatti aveva subito diverse perquisizioni da parte di Polizia e Guardia di Finanza ed era stato indagato insieme agli altri soci per il sospetto che utilizzassero e smaltissero amianto e rifiuti tossici per la realizzazione di asfalto e fondi stradali. Ai militari avrebbe raccontato che quando l’azienda di famiglia è entrata in crisi, tramite intermediari alcuni individui lo avrebbero aiutato a rimettersi in sesto finanziariamente.

 

Gli emissari, tra cui l’amministratore delegato della Perego Andrea Pavone, sarebbero legati al boss Salvatore Strangio, anche questi ultimi due ora dietro le sbarre, che tramite lui sarebbero arrivati anche all’ex assessore provinciale alla Moda di Milano Antonio Olivero. Inizialmente le cose sembravano funzionare tanto che la sua azienda riuscì a partecipare alla realizzazione della Paullese, del metanodotto di Erba, ad alcuni interventi per il nuovo Sant’Anna di Como e altre opere.

 

In realtà era solo un modo per riciclare denaro. Quando avrebbe compreso il gioco sarebbe stato troppo tardi per uscire dal giro, perchè «certa gente non perdona». «Non c’è, non è più qui, lasciateci stare» si è limitato a rispondere il padre a quanti volevano sapere cosa fosse successo. Oltre a Ivano Perego in provincia sono finite in carcere altre sette persone con diverse accuse, dalla droga alle armi all’estorsione.