Barzago, il padre del bimbo portato in Siria: "Ho paura che sia stato ucciso"

La moglie ha rapito il piccolo di sei anni per unirsi allo Stato islamico. Individuati mesi fa a Nord di Aleppo. "Temo che al mio bambino sia successo qualcosa di brutto, potrebbero averlo obbligato a combattere" di DANIELE DE SALVO

Il bambino è stato portato in Siria nel 2014, aveva sette anni

Il bambino è stato portato in Siria nel 2014, aveva sette anni

Barzago (Lecco), 5 febbraio 2016 - «Ho paura che sia morto sotto le bombe oppure in battaglia. Dio non voglia sia così, ma non ho più notizie di lui e laggiù potrebbe essergli capitato di tutto...». Lui è suo figlio di appena sette anni e laggiù è la Siria, dove sua moglie e madre del bambino è scappata nel dicembre 2014 portando con sé il piccolo per offrirlo ai tagliagole dell’Isis. Afrim Berisha, albanese di 46 anni, in Italia dal 1995, per due volte ha cercato di raggiungerli per riportarli a casa, a Barzago, in vestendo tutte le risorse di cui disponeva. Solo in viaggio ha speso 30mila euro, frutto dei suoi risparmi ma anche della generosità di amici e parenti, ma era pronto a offrire anche 180mila euro in contanti per «riscattare» almeno il bambino, tuttavia non è riuscito nemmeno a vederlo, ha parlato solo con alcuni emissari che gli hanno intimato chiaramente di lasciare perdere l’impresa e di andarsene il prima possibile. 

"Dal gennaio 2015, poco dopo che sono spariti, che praticamente non so più nulla di certo di loro – racconta -. Lei mi ha inviato un messaggio assicurandomi che stavano bene, le ho chiesto di tornare garantendole che avremmo sistemato ogni cosa, ma mi ha risposto che se anche avesse voluto gli uomini del Califfato non li avrebbero mai lasciati partire, ormai appartengono tutti e due a loro. Successivamente mi ha inviato tre fotografie di mio figlio, ma non ho potuto conservarle, i carabinieri me le hanno sequestrate per le indagini». Iin base alle ultime informazioni verificate parrebbe che si siano stabiliti ad Al-Bab, a nord est di Aleppo, roccaforte dello Stato islamico più volte teatro di scontri e di raid da parte dei militari dell’esercito regolare e dei piloti dell’aviazione russa.

«Li ho localizzati mediante il sistema gps del suo cellulare – riferisce l’uomo -. Temo che al mio bambino sia successo qualcosa di brutto, potrebbero averlo obbligato a combattere anche se è così piccolo oppure potrebbe essere rimasto ucciso durante qualche battaglia. Non so cosa pensare, sto perdendo la speranza, inizio a convincermi che non riuscirò mai più a riabbracciarlo, non ho nemmeno avuto modo di salutarlo». Nonostante lo sconforto tuttavia non intende arrendersi: «Se avrò modo andrò a cercarli di nuovo, probabilmente non servirà a nulla, come durante le altre occasioni, io però devo almeno tentare, non posso mollare, non posso abbandonare mio figlio in mano ai terroristi».