Bancarotta, la Finanza arresta noto imprenditore del Lecchese

Il figlio di Silvio Confortola: «Papà finito in una trappola»

Dell’operazione si è occupata la Guardia di Finanza  di Sondrio che ha arrestato  a inizio marzo l’imprenditore Silvio Confortola

Dell’operazione si è occupata la Guardia di Finanza di Sondrio che ha arrestato a inizio marzo l’imprenditore Silvio Confortola

Calolziocorte (Lecco), 27 marzo 2015 - «Mio papà è brava persona, un uomo onesto. È stato vittima di raggiri commessi da altri. Il nostro avvocato ci ha riferito che probabilmente a breve, forse già la prossima settimana, dovrebbe essere ammesso all’affidamento in prova ai servizi sociali (un po’ come capitato di recente a Berlusconi: ndr), in famiglia speriamo vivamente che ciò accada...».

A parlare è Davide Confortola, 28 anni, di Bormio, uno dei tre figli di Silvio Confortola, in Alta Valle noto imprenditore di 65 anni, arrestato dalla Guardia di Finanza all’inizio del corrente mese (ma la notizia è trapelata soltanto negli ultimi giorni) e condotto nel carcere sondriese di via Caimi.

L'uomo ha guai con la giustizia per reati di natura finanziaria, forse una condanna divenuta definitiva per bancarotta legata a un’azienda farmaceutica (l’autobotte saliva a Bormio nelle ore serali per fare il carico di acqua termale con la quale preparare i farmaci), con sede nel Lecchese, di cui era amministratore delegato, convinto ad assumere questo incarico da quelli che, in paese, vengono definiti senza mezzi termini «i boss di Bormio che la fanno sempre franca».

Nella piccola capitale turistica della Valtellina, il fermo di Confortola ha suscitato sentimenti di incredulità, di amarezza, di sincera sorpresa perchè da quanti abbiamo interpellato per saperne di più sulla vicenda è ritenuto «persona corretta, degna di massimo rispetto, incapace di arricchirsi in modo scorretto». «Pensi – aggiunge il figlio Davide che con lui ora gestiva un’attività assicurativa e di servizio di noleggio con conducente – che a mio padre, per colpe non sue, è stata pure pignorata una casa del valore di un milione di euro». Già, così la famiglia in fretta e furia era stata costretta a trovare un’alra sistemazione a Cepina, frazione di Valdisotto, dove adesso la moglie Bettina Armellini, stimata docente di Inglese (l’unica figlia femmina, la più grande dei tre fratelli, vive a Bolzano), attende il ritorno a casa del marito.

«Almeno avesse preso lui i soldi – confida a “Il Giorno“ un bormino –. Invece li hanno presi gli altri. Arrivavano i fondi regionali per sostenere l’azienda, ma anzichè essere investiti in ditta il solito “furbetto“ li dirottava altrove. Si sussurra anche di società in Ungheria e di conti esteri intestati a un disabile. Lui, il Silvio, ha peccato in ingenuità: è stato un po’ troppo credulone, un po’ tontolone a fidarsi di certi personaggi con un pelo così. E ora ne sta pagando le conseguenze»Quando l’azienda lecchese traballava paurosamente - in un mare in tempesta - e il fallimento era dietro l’angolo, confidò a un amico: «Sto cercando di liquidare la società. Di evitare il crac. Ma se non riesco non pago solo io...». Invece quando un investigatore di punta della Guardia di Finanza di Bormio, su richiesta dell’allora comandante provinciale, colonnello Marco Selmi, lo convocò in ufficio per fargli vuotare il sacco deluse tutte le aspettative, facendo scena muta. E così «l’agnello sacrificale» è stato lui, macchiandosi con un arresto immeritato a detta dei più.