Abbadia, Aicha chiede di poter piangere sulla tomba del suo bambino

La donna uccise il piccolo di tre anni con una forbiciata. Ora la donna chiede di essere portata sulla tomba di Nicolò

Abbadia Lariana, 30 giugno 2014 - Vuole salutare Nicolò per l’ultima volta, piangere sulla sua tomba, rendersi conto che è veramente morto e che a ucciderlo è stata proprio lei, perché non si è trattato di un brutto sogno ma della realtà. Poi spera di ricostruirsi presto una nuova esistenza, di lasciarsi alle spalle il passato, con il dolore che ha provocato e quello che ha dovuto sopportare e sta ancora affrontando. Si è anche tagliata i capelli, della folta chioma di cui era tanto orgogliosa non rimane che qualche ciocca, quasi simboleggiasse anch’essa un legame con quanto ha commesso. Aicha Christine Eulodie Coulibaly, la 26enne della Costa d’Avorio che la mattina del 25 novembre 2013 ad Abbadia Lariana ha ammazzato il proprio primogenito di appena tre anni ieri mattina, all’avvocato Sonia Bova che è andata a trovarla all’ospedale psichiatrico giudiziario di Castiglione delle Stiviere dove è detenuta per ragioni di sicurezza, ha domandato di potersi recare al cimitero, vedere la lapide bianca sotto cui il suo bimbo dorme per sempre. «Voglio chiudere questo tremendo capitolo – ha confessato con estrema lucidità al legale -. Voglio toccare con le mie mani il marmo che protegge il suo piccolo feretro per sincerarmi che lui non c’è più e che è stata tutta colpa mia». Ma per ora il suo desiderio non potrà essere accolto, forse lo esaudirà in futuro, quando però non si sa. Deve essere ancora fissata la data dell’udienza preliminare del processo, il giudice deve ancora decidere se procedere con il rito abbreviato, oppure se istituire il procedimento in Corte d’assise d’Appello, non si conosce ancora se il suo ex compagno, il papà del suo Nicolò, presenterà ricorso. Quello che pare certo è che difficilmente verrà condannata, perchè secondo i periti quando ha accoltellato il bimbo con una forbiciata al petto non era capace di intendere e di volere. La sua sorte sarà quindi molto probabilmente quella di restare a lungo presso la struttura protetta in provincia di Mantova, insieme alle altre madri che come lei hanno tolto la vita a chi la vita avevano donato. Per questo non potrà nemmeno riabbracciare presto Sara, la secondogenita che ormai ha compiuto un anno. Chiede sempre di lei, di come stia, se lei le manchi, di quando riuscirà a incontrarla per spiegare che è pur sempre sua mamma. «Soffre molto, un tormento indescrivibile – commenta il difensore - le terapie a cui è sottoposta però sembrano sortire l’effetto desiderato come il percorso che sta affrontando con gli operatori specializzati. Ha voglia di progettare il suo futuro, è giovane, è giusto che abbia un’altra possibilità quando giungerà il momento opportuno».