2009-06-02
di DANIELE DE SALVO
MONTEVECCHIA
La partita del petrolio in Brianza non è ancora chiusa. Il comitato «No al pozzo»di Montevecchia, il gruppo che si sta impegnando per scongiurare il rischio della ricerca di idrocarburi nel cuore del Parco regionale della Valle del Curone, vuole andare fino in fondo. Per questo motivo ha formalmente domandato a tutti gli aspiranti presidenti della Provincia di Lecco, indipendentemente da chi vincerà e dal colore politico, di impegnarsi personalmente per difendere lunico e ultimo polmone verde rimasto. A formulare la richiesta Alberto Saccardi, portavoce del Comitato, in accordo con Eugenio Mascheroni, presidente del Parco.
IN AIUTO dei membri del Comitato è intervenuta anche Maria Rita dOrsogna, fisica e docente di fama internazionale, attiva in California. La dOrsogna ha spiegato che il petrolio che dovesse essere eventualmente estratto dal sottosuolo della Brianza dovrà essere desolforato e quindi trattato direttamente sul posto prima di venire inviato alla più vicina raffineria. Loro nero italiano infatti è saturo di zolfo e si presenta come una fanghiglia melmosa, corrosiva e di bassa qualità che non può essere trasportata attraverso gli oleodotti. Occorrerà quindi realizzare in loco appositi impianti per purificarlo. «Se il petrolio cè davvero cosa ne sarà delloasi protetta? - tuona lesperta dalle pagine del blog allestito dagli aderenti al movimento civico -. E se ci sarà bisogno del desolforatore, dove lo faranno? E gli oleodotti? E le strade di accesso? La raffineria di Trecate, probabilmente la più vicina, è a circa 50 chilometri di distanza e io non sono sicura che il greggio italiano possa essere trasportato su così lunghe distanze».
LA RICERCATRICE mette anche in guardia da altri problemi. «Gli incidenti legati allindustria petrolifera sono comuni in Italia - assicura -. In Basilicata i riversamenti sono allordine del giorno, la puzza di idrogeno solforato pervade tutta la provincia di Potenza, non si contano i siti inquinati e ogni tanto si vedono vampate nere. Le estrazioni hanno compromesso le falde idriche della zona. Lagricoltura inoltre è scomparsa; il vino, i pomodori, linsalata, i fagioli sono diventati di pessima qualità». Un motivo in più per gli attivisti e non solo per chiudere la partita quanto prima.
di DANIELE DE SALVO
MONTEVECCHIA
La partita del petrolio in Brianza non è ancora chiusa. Il comitato «No al pozzo»di Montevecchia, il gruppo che si sta impegnando per scongiurare il rischio della ricerca di idrocarburi nel cuore del Parco regionale della Valle del Curone, vuole andare fino in fondo. Per questo motivo ha formalmente domandato a tutti gli aspiranti presidenti della Provincia di Lecco, indipendentemente da chi vincerà e dal colore politico, di impegnarsi personalmente per difendere lunico e ultimo polmone verde rimasto. A formulare la richiesta Alberto Saccardi, portavoce del Comitato, in accordo con Eugenio Mascheroni, presidente del Parco.
IN AIUTO dei membri del Comitato è intervenuta anche Maria Rita dOrsogna, fisica e docente di fama internazionale, attiva in California. La dOrsogna ha spiegato che il petrolio che dovesse essere eventualmente estratto dal sottosuolo della Brianza dovrà essere desolforato e quindi trattato direttamente sul posto prima di venire inviato alla più vicina raffineria. Loro nero italiano infatti è saturo di zolfo e si presenta come una fanghiglia melmosa, corrosiva e di bassa qualità che non può essere trasportata attraverso gli oleodotti. Occorrerà quindi realizzare in loco appositi impianti per purificarlo. «Se il petrolio cè davvero cosa ne sarà delloasi protetta? - tuona lesperta dalle pagine del blog allestito dagli aderenti al movimento civico -. E se ci sarà bisogno del desolforatore, dove lo faranno? E gli oleodotti? E le strade di accesso? La raffineria di Trecate, probabilmente la più vicina, è a circa 50 chilometri di distanza e io non sono sicura che il greggio italiano possa essere trasportato su così lunghe distanze».
LA RICERCATRICE mette anche in guardia da altri problemi. «Gli incidenti legati allindustria petrolifera sono comuni in Italia - assicura -. In Basilicata i riversamenti sono allordine del giorno, la puzza di idrogeno solforato pervade tutta la provincia di Potenza, non si contano i siti inquinati e ogni tanto si vedono vampate nere. Le estrazioni hanno compromesso le falde idriche della zona. Lagricoltura inoltre è scomparsa; il vino, i pomodori, linsalata, i fagioli sono diventati di pessima qualità». Un motivo in più per gli attivisti e non solo per chiudere la partita quanto prima.
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