Mercoledì 24 Aprile 2024

IL LIBRO DE IL GIORNO DI GENNARO MALGIERI La Francia e l’identità in crisi. Analisi e riflessioni di Cioran

Emil Cioran (1911-1987) è il più grande scrittore francese di origine non francese del Novecento. Il suo rumeno sembra essere traslato nella lingua di Montaigne con una naturalezza che lascia stupiti

Il libro de Il Giorno di Gennaro Malgieri

Il libro de Il Giorno di Gennaro Malgieri

Milano, 19 dicembre 2014 - Emil Cioran  (1911-1987) è il più grande scrittore francese di origine non francese del Novecento. Il suo rumeno sembra essere traslato nella lingua di Montaigne con una naturalezza che lascia stupiti. Come la “francesizzazione” cui si votò fin dal suo approdo sulle rive della Senna nel 1937 lo ha fatto diventare il più penetrante conoscitore dell’anima della sua nuova patria, mentre non ha mai rinnegato quella originaria dai cui caratteri ha attinto spunti per considerare la Francia con la mentalità dello slavo e l’esperienza del “parigino”: attivo e pessimista, indolente e cinico allo stesso tempo. I due aspetti del suo carattere trasferiti nei sublimi e abissali aforismi, come in queste sue riflessioni (ancora acerbe perché scritte nel 1941) su quello che sarebbe diventato il suo Paese ancor prima di deciderlo.

Fu infatti naturale per Cioran scegliere la Francia come “luogo” della sua traversata esistenziale e spirituale perché in essa vedeva riflesse le contraddizioni che lo agitavano. E questo suo libretto, proposto da Voland per la prima volta in Italia, a cura di Giovanni Rotiroti, non fa che confermare il suo critico amore per la Francia nella cui storia s’immerge quasi con voluttà rilevandone l’eccentricità e la tendenza a decadere con noncuranza, si potrebbe dire, salvo poi rialzarsi aggrappandosi ad una ancestrale grandeur sempre messa in discussione perfino da chi aveva tutto l’interesse a preservarla. Penso ad uno Chateaubriand, non amato da Cioran, che come De Maistre teneva a rinvigorire l’idea di una Francia eterna – avvolta nel cristianesimo il cui “genio”, soprattutto il primo, esteticamente più che religiosamente cantò – che avrebbe dovuto riprendere la vocazione carolingia della sua missione universale e invece si è trovata a maneggiare l’universalismo laico della Grande Rivoluzione, grondante sangue ed intolleranza, abbracciato, tradito e sostanzialmente negato dal suo ultimo Cesare, come si evince dal Memoriale di Sant’Elena. Ascesa e decadenza di un “mito” storico e culturale si potrebbe definire questa descrizione cioraniana della Francia.

“Nella creazione gotica ha ribollito il sangue dei franchi, l’elemento germanico; nelle campagne napoleoniche , il genio mediterraneo delle spedizioni”, osserva Cioran. Poi più niente: si è accontentata di se stessa la Francia. E questo limite l’ha segnata fino a farla decadere. Beninteso: “può ancora fare una rivoluzione”. In che modo? “Prendendo in prestito i miti dagli altri…raffazzonando discorsi con vecchie frasi, con pezze anarchiche e con la disperazione della piccola borghesia che ha perso la testa”. Era il 1941. Cioran aveva capito tutto. E l’irrilevanza francese poteva perfino proiettarla sull’Europa morente pur non avendo ancora attinto al culmine d quella disperazione continentale che l’avrebbe perduta per sempre.

Emil Cioran - Sulla Francia - Voland