In fuga da Matteo

L’ establishment italiano si è riunito a Roma e di Matteo Renzi non c’era traccia. Ne aleggiava lo spettro, però.

Milano, 13 luglio 2017 - L’ establishment  italiano si è riunito ieri mattina a Roma e di Matteo Renzi non c’era traccia. Ne aleggiava lo spettro, però. All’assemblea annuale dell’Abi, padrone di casa Antonio Patuelli, c’era il governatore di Bankitalia Ignazio Visco, c’era il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, c’erano alcuni uomini di governo, diversi parlamentari, molti banchieri, imprenditori, avvocati, giornalisti e professori. Ma non c’era Matteo Renzi. Nessuno degli oratori si è riferito esplicitamente a lui dal palco, ma a sondare gli umori a margine dei lavori si ottengono solo poche battute, regolarmente liquidatorie. Se ne parla al passato, come di un’occasione persa. «Troppo conflittuale», è la considerazione più diffusa. Matteo Renzi come elemento destabilizzante, in una fase storica in cui “la stabilità” è diventata il discrimine tra la vita e la morte degli Stati. Un Paese instabile per antonomasia come l’Italia guidato da un premier giudicato instabile preoccupa sia l’Europa sia gli investitori stranieri. E il debito pubblico continua a salire...

Lasciarsi alle spalleMatteo Renzi sembra perciò essere diventata un’esigenza piuttosto diffusa tra i pur eterogenei ranghi dell’establishment. Di quello italiano e di quello internazionale. Per le istituzioni europee, ma anche per partner come Francia e Germania, Renzi rappresenta ormai più un problema che una soluzione. Agli occhi del mondo che conta, è meglio Paolo Gentiloni, come ha scritto con forza di monito Federico Fubini sul Corriere della Sera. Meglio un premier tranquillo, omogeneo al sistema. Un mediatore. È dunque iniziata la fuga da Matteo Renzi. Lo raccontano le cronache politiche, ci ricamano i retroscena dei giornali, lo ammettono persino diversi renziani. Alcuni uomini-banderuola hanno segnalato in questi giorni un vento nuovo. Un vento antirenziano incanalato da renziani pentiti. Colpa del carattere, certo, ma soprattutto è colpa delle sconfitte. Se avesse vinto referendum istituzionale ed elezioni amministrative, e se apparisse così forte da poter riconquistare il governo in un contesto politico a lui congeniale, il giudizio sarebbe diverso. Ma Renzi ha smesso di vincere. E quando un capo politico smette di vincere e persevera negli errori è fisiologico che venga rimosso.

In Massa e potere Elias Canetti si dilunga in esempi emblematici, raccontando di certe popolazioni africane use a uccidere il proprio venerato re qualora caschi da cavallo, si ammali o dia segni di debolezza. Un modo per tutelare l’interesse del regno. È una legge crudele, ma l’hanno scontata in molti. Winston Churchill, per esempio. Il punto, però, è un altro. C’è un’alternativa migliore aMatteo Renzi? In astratto, e al netto dei suoi tanti ed evidenti difetti, si direbbe di no. Ma se, come sembra, si voterà col proporzionale, occorrerà un premier stimato ma debole; debole e flessibile, per potersi reggere in equilibrio su una maggioranza parlamentare eterogenea. A quel punto, a parte Matteo Renzi, possono andare bene in molti. A partire da Gentiloni che ha il vantaggio di stare già lì. Ma non per questo Renzi scomparirà. Ha appena stravinto con oltre il 70% dei consensi il congresso del partito e dal Pd, per ora, non sarà facile schiodarlo. Per quanto gli possano andare male, le elezioni gli consegneranno almeno un 25% dei consensi. Con lui, in Parlamento, bisognerà comunque trattare. Non farà il premier, probabilmente. Ma potrebbe chiedere il ministero degli Esteri e certamente userà la sua forza parlamentare per perseguire una qualche politica. Chissà, col tempo e con qualche cautela in più, il rapporto con l’establishment potrebbe anche ricostituirsi