Referendum e colpi bassi

Ingannevole, fuorviante, vergognoso: è il quesito referendario secondo Brunetta e Travaglio

Milano, 25 settembre 2016 - Ingannevole, fuorviante, vergognoso: è il quesito referendario secondo Brunetta e Travaglio. Il referendum costituzionale è riuscito nell’impresa di metter d’accordo due personaggi che più diversi non potrebbero essere. Se uno dice che c’è il sole, per l’altro invece piove. Questo però succedeva fino a ieri. Oggi, per far cadere Renzi, usano parole identiche. E se la prendono persino con la formulazione del quesito, peraltro autorizzata dalla Cassazione, che troveremo sulla scheda (si voterà il 27 novembre o il 4 dicembre) ritenendo che sia una sorta di «bugiardino», un modo malizioso per indurre l’elettore a tracciare la croce sul «Sì». Chi non sarebbe d’accordo sulla fine del bicameralismo paritario (il doppione Camera-Senato), il taglio del numero dei parlamentari e dei costi della politica? Ma ammettendo pure che il quesito sia stato posto furbescamente, nessuno può sostenere che dica il falso.

Brunetta, Travaglio e il vasto e variegato fronte del «No» hanno qualche buona ragione a dire che la riforma è pasticciata, che il Senato sarebbe stato meglio abolirlo perché quello che piace alla Boschi con i sindaci e i consiglieri regionali è un papocchio, che non è giusto che questi ultimi possano godere dell’immunità, che i poteri del governo cresceranno, indebolendo quelli del Parlamento. Ma faranno molta fatica a smontare un fatto indiscutibile: se vincono i «Sì» diminuisce il numero dei parlamentari e cala il costo della politica. 

Non c'è alcun dubbio che Renzi nei due mesi che mancano al voto insisterà proprio su questi punti, che sono di grande presa sull’elettorato. Meno parlamentari, meno sprechi, leggi approvate più velocemente, governi più stabili: l’uomo della strada capisce meglio gli argomenti del «Sì» rispetto a quelli del «No». Se Travaglio o Brunetta affermano che la riforma è caotica e che svilisce il ruolo del Senato, forse non hanno tutti i torti ma sicuramente i loro ragionamenti hanno meno impatto rispetto a quelli degli avversari. Per questo sono costretti a semplificare e a dire agli elettori: se volete mandare a casa Renzi votate «No». Da parte sua, il premier ostenta sicurezza a dispetto dei sondaggi che per ora danno il «No» in testa di qualche punto percentuale, non si sottrae a scomodi e sgraditi faccia a faccia televisivi (l’ultimo quello con Travaglio dalla Gruber quando a sorpresa ha mostrato la scheda che troveremo nei seggi con il contestatissimo quesito), non perde occasione per far campagna elettorale anche quando va ad inaugurare un centro commerciale. Nei prossimi due mesi sarà costretto a girare l’Italia in lungo e in largo come una trottola nel tentativo di rimediare al grave errore che ha fatto: quello di personalizzare il referendum costituzionale e trasformarlo in un plebiscito su di lui. Un peccato di presunzione che rischia di pagare a caro prezzo. giuliano.molossi@ilgiorno.net