La politica in tribunale

Quelle mutande comprate a Boston non erano mutande ma boxer da bagno e non erano neppure verdi ma color buccia di kiwi

Milano, 9 ottobre 2016 - Quelle mutande comprate a Boston non erano mutande ma boxer da bagno e non erano neppure verdi ma color buccia di kiwi. Eppure quello scontrino da 40 dollari che l’ex governatore del Piemonte, il leghista Roberto Cota, aveva per errore inserito nella nota spese era diventato inevitabilmente il simbolo delle ruberie dei politici. Oggi, dopo quattro anni, Cota è stato assolto con formula piena, per non aver commesso il fatto, dall’accusa di peculato. Ma nel frattempo, dopo aver perso la Regione anche per l’inchiesta sulle firme false, la sua carriera politica è stata distrutta. Quello del 7 ottobre è stato un venerdì nero per le Procure. Mentre a Torino veniva assolto Cota, a Roma vinceva la sua battaglia in tribunale l’ex sindaco Ignazio Marino, lui pure accusato di aver utilizzato soldi pubblici non per un paio di slip ma per 56 cene (13mila euro in totale) più private che di rappresentanza. Anche Marino, «licenziato» dal Pd, cadde sugli scontrini. Sono soltanto i due casi più clamorosi di una raffica di proscioglimenti.

È curioso, piuttosto, che siano arrivati tutti insieme, nel giro di poche settimane. Prima di Cota e Marino era toccato a Penati, a Errani, a De Luca, a Podestà e ad Alemanno uscire puliti dalle loro disavventure giudiziarie. E colpisce anche la richiesta di archiviazione avanzata dalla Procura di Roma per 116 indagati di Mafia Capitale. Che succede? Ieri tutti ladri, oggi tutti angioletti? O forse la magistratura (che non è il Vangelo) può sbagliare come tutti, e forse prima di esporre qualcuno al pubblico ludibrio, alla gogna mediatico-giudiziaria, sarebbe il caso di essere più prudenti e di verificare i fatti con maggior rigore e serietà? Intendiamoci, anche i giornalisti hanno le loro colpe e spesso non si fanno scrupoli di «sbattere il mostro» in prima pagina, di enfatizzare e spettacolarizzare l’inchiesta contro un uomo politico. Ma senza le veline delle Procure, senza certi suggerimenti mirati, avrebbero molta meno carne al fuoco. Da Tangentopoli in poi basta un avviso di garanzia per distruggere la reputazione di qualcuno. E non di rado capita che quell’avviso nasca da un esposto presentato da un avversario politico. Così i partiti si servono della magistratura per vincere le loro battaglie. È molto più facile abbattere i rivali in questo modo subdolo che superarli nell’unico confronto lecito, quello delle elezioni. La lotta politica si fa più nei tribunali che in Parlamento. Ai più fanatici moralisti (ce ne sono parecchi, sia nella magistratura che nella stampa) basta pochissimo per mettere qualcuno sulla lista nera, per loro la parola indagato è sinonimo di condannato. I peggiori sono quelli che fanno i giustizialisti con i nemici e i garantisti con gli amici. A Roma l’assessore Muraro è indagata e non si dimette. Forse, ritenendosi estranea ai fatti, fa bene a resistere confidando in una archiviazione, ma se le elezioni le avesse vinte non la Raggi ma Giachetti e se ad essere indagato fosse stato un assessore del Pd, i grillini avrebbero avuto lo stesso atteggiamento di comprensione e di paziente attesa?  giuliano.molossi@ilgiorno.net