La lotta per la leadership

Il caso Minniti, al centro dello scontro, anche interno al governo, sul soccorso ai migranti, ripropone un vecchio problema della sinistra. Sul tavolo non c’è solo l’emergenza sbarchi, ma diversi nodi che riguardano sia l’economia che la legge elettorale. E, soprattutto, la questione di una nuova leadership

Milano, 13 agosto 2017 - Il caso Minniti, al centro dello scontro, anche interno al governo, sul soccorso ai migranti, ripropone un vecchio problema della sinistra. Sul tavolo non c’è solo l’emergenza sbarchi, ma diversi nodi che riguardano sia l’economia che la legge elettorale. E, soprattutto, la questione di una nuova leadership. Tema che ogni qualvolta affiora svela il volto di una sinistra masochista, pronta a soffocare sul nascere il nuovo che avanza. Le polemiche scoppiate intorno al ministro Marco Minniti hanno un prologo paradossale. La linea della fermezza decisa dal capo del Viminale è in realtà in totale sintonia con la famosa - e contestata - frase di Matteo Renzi «aiutiamoli a casa loro». La sortita con cui l’ex premier sposava la logica dell’emergenza in tema migranti. Con una precisa strategia dietro: elettoralmente, la linea dell’accoglienza a tutti i costi, cara alla sinistra, non pagava. Bisognava, anzi, strappare al centrodestra e ai grillini lo scettro della linea dura per fermare gli sbarchi. 

Peccato che quando Paolo Gentiloni ha iniziato a mettere paletti e ad affrontare l’emergenza migranti, proprio Renzi si è messo di traverso. Temendo, forse, che Marco Minniti volesse giocarsi una sua partita in questo campo. Quanto è seguito appare fedele al solito copione del cupio dissolvi della sinistra. Lo stesso visto con Prodi, Veltroni, Letta e, più tardi, anche con Renzi. I fedelissimi del segretario del Pd si sono schierati contro Minniti e il governo Gentiloni ha sfiorato la crisi. Il vecchio vizio della sinistra di dividersi sempre. Anche sui temi in cui dovrebbe essere unita. Non a caso, ora, Gentiloni usa la prima persona singolare per illustrare quanto di positivo realizza il governo da lui presieduto. Un modo per prendersi i meriti che ritiene gli spettano, senza dover avallare una continuità col precedente esecutivo.

Il Pd dietro le quinte sta cercando di manipolare Gentiloni per convincerlo a fare scelte impopolari. Ma il premier ha preso la sua strada. Ed è Renzi a risultare quello più isolato. Dopo i migranti, il fronte delle alleanze. Renzi, appena due mesi fa, ha deriso Angelino Alfano. Che a sua volta ha risposto: la stagione di collaborazione col centrosinistra è finita. Ma ora Lorenzo Guerini e Graziano Delrio gli fanno la corte per paura di perdere la Sicilia alla prossima sfida elettorale. Orlando e gli scissionisti non ci stanno e invocano un’alleanza più di sinistra che di centro. Quella, cioè, con Giuliano Pisapia. Si sta consumando una lotta fratricida all’interno del centrosinistra, e Alfano è il pomo della discordia. Renzi pur di vincere in Sicilia e non perdere la leadership nel centronistra è costretto a inseguirlo. E ora? Unico fattore in grado di costringere la sinistra a non litigare più è la modifica della legge elettorale. Se a settembre la trattativa porterà a un premio di coalizione, le lotte per la leadership dovranno rientrare. Col proporzionale inutile illudersi: dopo le elezioni siciliane tutto tornerebbe frammentato.

sandro.neri@ilgiorno.net