Il modello israeliano

Un film già visto, un eterno replay. Un furgone a noleggio con le portiere spalancate, una distesa di corpi a terra, la folla che fugge, la polizia che accorre

Milano, 18 agosto 2017 - Un film già visto, un eterno replay. Un furgone a noleggio con le portiere spalancate, una distesa di corpi a terra, la folla che fugge, la polizia che accorre. È successo a Barcellona, era già successo a Nizza, a Londra, a Berlino... Non c’è collegamento con la politica estera del Paese vittima, ieri è stata colpita la pacifica Spagna come nei mesi scorsi era stata colpita l’aggressiva Francia. Può accadere ovunque, può toccare a chiunque. Per non sentirci in balia degli eventi, ci ripetiamo come un mantra le solite cose: che Israele è diventato il nostro destino, che non dobbiamo farci sopraffare dalla paura, che la vita deve continuare a fluire come nulla fosse. Rassicurazioni che non rassicurano.

Qualcosa, in noi, è già cambiato. Si privilegia il turismo interno, si pretende che gli Stati contengano più che mai l’immigrazione musulmana. Non sono reazioni irrazionali perché, come usa ormai dire, non tutti i musulmani sono terroristi, ma tutti i terroristi sono musulmani. In Europa sono stimati nell’ordine dei 20 milioni, cacciarli è impensabile. Occorre pensare, però, al fatto che a darsi al terrorismo sono quasi sempre musulmani residenti, spesso da più generazioni. È il segno che il multiculturalismo ha fallito, che la piena integrazione è una chimera. E allora, se il nostro destino è Israele, che si segua quel modello fino in fondo. Tra le ragioni per cui nessun attentato si è (ancora) consumato in Italia, il fatto che forziamo i princìpi dello Stato di diritto espellendo senza processo anche chi semplicemente simpatizza per l’Isis. Israele fa di peggio: uccide i capi e vessa i familiari dei terroristi. Se dobbiamo convivere con la paura come fanno gli israeliani, dovremmo anche adottare i metodi che caratterizzano quello Stato.