L'occasione mancata

Vista l'imminente ricorrenza, una concessione alla storia: 25 aprile 1945, Milano liberata

Milano, 23 aprile 2017 - Vista l'imminente ricorrenza, una concessione alla storia: 25 aprile 1945, Milano liberata. L’annuncio ufficiale avviene solo il 26 mattina. La città occupata a lungo, devastata dai bombardamenti, luogo dell’ultimo discorso di Benito Mussolini alle milizie repubblichine e insorta spontaneamente, non era più in guerra. Un ritorno alla vita entusiastico nelle prime fasi, più complicato dopo la consapevolezza del disastro e della fatica della ricostruzione. Milano, medaglia d’oro per la Resistenza, torna a celebrare il suo 25 aprile, in un’Europa sbigottita per l’escalation del terrorismo islamico e preoccupata per le tensioni, dalla Brexit alle elezioni in Francia. Ma lo fa con un po’ di distacco e le consuete polemiche, come avviene ormai da tempo. Certo non mancheranno le commemorazioni e il ricordo delle vittime della guerra. Ritorna sempre, però, in questa data, la domanda sulle ragioni di una memoria non ancora pienamente condivisa o, almeno, riconosciuta da tutti come fondante lo Stato repubblicano e democratico.

Per cominciare, che senso possiamo trasmettere oggi del 25 aprile? Rispetto all’orgoglio francese e alla determinazione degli inglesi, cosa è mancato all’Italia per individuare i punti di riferimento (per esempio una data condivisa) che giustificano il proprio presente? Forse una memoria nella quale rispecchiarsi, oltre ogni appartenenza politica. La fretta della rimozione collettiva degli anni successivi alla guerra, il bisogno di chiudere rapidamente i conti con il ventennio della dittatura, l’appropriazione “di parte” dell’antifascismo, durata per molti anni, hanno certo influito. Resta sempre il dubbio, però, che vi sia nella storia italiana una frattura, un desiderio che ritorna di non identificarsi mai del tutto con il proprio Paese. È accaduto per il Risorgimento, accade per altre fasi della nostra storia. L’appartenenza democratica non sembra penetrare fino in fondo nella coscienza collettiva degli italiani, disposti alla critica feroce contro le istituzioni e mai inclini a comprendere il lato positivo dell’essere cittadini nel significato più alto del termine. Forse, se le date-simbolo hanno ancora un senso, questo va cercato in una giusta rilettura della storia, basata sui fatti e non sulle ideologie, e sul valore di alcuni passaggi, primo fra tutti quello del 2 giugno, alla base del nostro ordinamento democratico.

sandro.neri@ilgiorno.net