Profumo di limone per un'alleanza nel segno del Made in Italy

Dall’incontro tra il colosso Ferrero e il consorzio dei produttori di Siracusa nascono un prodotto agli agrumi e un’alleanza imprenditoriale

Il limone di Siracusa

Il limone di Siracusa

Milano, 6 aprile 2017 - In fondo, perfino da quando gli arabi passeggiavano a Siracusa, è sempre e solo questione di persone. Che si incontrano, che si parlano, che si fanno venire delle idee. E che poi fanno delle cose. Sentite Fabio Moschella, raffinato presidente del Consorzio del limone di Siracusa Igp: «Sarà stato un anno fa - racconta - Arriva una telefonata. “Buongiorno, sono un dirigente della Ferrero”. Io lì per lì resto un po’ così, e penso: e che vorranno adesso loro da noi?”».

Loro, i rappresentati della multinazionale italiana sinonimo di dolce, il colosso che da Alba ha conquistato il mondo, volevano semplicemente (anche se non c’è niente di semplice in queste cose) un nuovo gusto per il Kinder CereAlé, la merendina nata sotto il segno di Expo. La volevano fare agli agrumi. Ma non agrumi qualsiasi. Avevano appunto pensato alle arance di Sicilia. E, poi, al limone. Un limone unico al mondo, quello che cresce attorno alla città che incantò anche Platone e Archimede, sotto un sole a picco, tra fichi d’India e muretti a secco, apprezzato fin dal Seicento dai gesuiti. Una idea, appunto. Dopo un anno di lavoro, di test, di verifiche, e di nuove analisi, l’idea è diventata un prodotto.

A Balvano, Potenza, 570 chilometri più su di Siracusa (quasi tutto, in Italia, è più su di Siracusa) la produzione è già iniziata. Le tavolette arriveranno subito sul mercato, in primis in Lombardia e Piemonte. Perché proprio da Balvano? «La Ferrero - ricorda Vito Sileo, professione tecnologo (si dice così) - decise di fare da noi uno dei suoi forni dopo il terremoto del 23 novembre 1980. Venne giù anche la chiesa, perdemmo tre generazioni di compaesani. Beh, noi da allora prepariamo i famosi mattoncini che tutti conoscono. Farciamo e cuociamo in continuo una striscia di impasto larga più di un metro e lunga 1,2 chilometri. Volevamo un tocco in più. E ora ci sono le arance e i limoni». Un ciclo di produzione altamente automatizzato che dà lavoro a 300 persone, senza contare l’indotto.

Eppure anche tra macchine, robot e computer, c’è spazio per l’attività artigianale, per le cose fatte a mano. E rigorosamente a mano avviene la raccolta del limone siracusano. «Non si potrebbe fare diversamente - spiega Giancarlo Perrotta, l’agronomo che questi appezzamenti li conosce come le sue tasche -. La pianta è delicata, se non si procedesse così il raccolto ne risentirebbe, in qualità e in quantità».

La qualità? Per essere autenticamente siracusano Igp, il limone deve rimanere sulla pianta a maturare almeno sei mesi. Non una varietà qualsiasi. Un femminello, particolarmente fertile, che fiorisce tutto l’anno. Il primofiore è pronto a ottobre, il bianchetto ad aprile, il verdello in estate. Attenzione: l’area di coltivazione non può essere oltre i 10 chilometri dal mare, e mai al di sopra dei 210 metri di quota. Risultato? Profumo di pino, anice, lavanda, salvia e miele. Quanto alla quantità, con 5.300 ettari il limone di Siracusa rappresenta il 42% della produzione nazionale. Coltivazione e raccolta impegnano direttamente 1.200 persone, 230 aziende, 25 imprese di confezionamento.

Mica male, per una pianta che selvaticamente si trovava solo in Birmania, e che duemila anni fa arrivò nel Mediterraneo. Per fermarsi, ovviamente, dalla parti di Siracusa, portata dagli arabi. «Questa è la storia. Ma c’è chi pensa che il limone fosse già qui», azzarda Perrotta. Giusi Norcia, la giovane scrittrice che ha compilato e pubblicato il dizionario sentimentale della sua città, allarga le braccia senza sciogliere il rebus: «Chi può dirlo? Qui sono passati tutti». Allora, è davvero sempre una questione di persone. E, appunto, di incontri.