Il meteorologo che Stalin mandò in Siberia

In un libro di Olivier Rolin l'intreccio fra meteo e politica

Lo scrittore Olivier Rolin

Lo scrittore Olivier Rolin

Milano, 24 giugno 2017 - Col tempo che fa, tutti saranno martedì, ore 12.15, alle Gallerie di Piazza Scala, a pendere dalle labbra di Sabrina Colle (lettrice di classici) e del colonnello Guido Guidi, Carlo Arturo Quintavalle, Duccio Forzano, Davide Corritore e Olivier Rolin, relatori di “Paura e Coraggio del Meteo”, appuntamento della Milanesiana. Nessun cabalista. Tanto meno lo è Rolin, acclamato scrittore francese settantenne, un passato di simpatie per il movimento maoista “Gauche prolétarienne”, autore dell’impeccabile biografia di Aleksej Feodos’evich Vangengejm, “Le météorologue”, pubblicata in Italia da Bompiani.

Chi era costui?

«Studiava le nuvole, ma non era sicuramente un uomo con la testa fra le nuvole. Rappresentava l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche alla Commissione internazionale sulle nuvole, partecipava a congressi sulla formazione delle nebbie, nel 1930 aveva creato l’Ufficio del tempo. Uno scienziato al servizio dell’edificazione del socialismo. Nato nel 1881 a Krapivno, Ucraina. Diventato nel 1929 il primo direttore del Servizio idrometeorologico dell’URSS».

Come si è interessato a lui?

«Durante un viaggio alle isole Solovki, arcipelago del Mar Bianco, a 1 ora d’aereo d’Arcangelo, che nel ‘23 aveva ospitato (si fa per dire) il primo campo del Gulag. Una storica locale mi mostrò nel 2010 le riproduzioni delle lettere inviate da un detenuto alla figlia. Illustrate da disegni, indovinelli, erbari. Belle. Commoventi. Lei aveva 4 anni nel 1934, al momento della deportazione del padre, che non avrebbe più rivisto: Aleksej Feodos’evich Vangengejm, bastonato e portato nudo in un bosco, fu fucilato nel ‘37».

Perché?

«Bastava un pretesto fantasioso per arrestare, deportare, giustiziare qualcuno durante il Terrore staliniano. Più precisamente, il meteorologo era da liquidare perché figlio della piccola nobiltà, spirito libero e aperto alle teorie scientifiche “straniere”. Infine, capro espiatorio della disastrosa collettivizzazione agricola».

Riabilitato nel ‘56. Ma il suo nome scompare senza lasciare traccia. Anche le ricerche?

«Infatti (anche se devo verificare meglio), il nome non l’ho trovato tra quelli degli storici direttori del Servizio idrometeorologico della Federazione. Quanto ai suoi studi, non hanno rivoluzionato la disciplina. Ma sicuramente erano in anticipo sui tempi riguardo allo sviluppo di quel che definiamo “transizione energetica”: se decide di creare un “catasto dei venti” è perché ha in mente una foresta di pale eoliche in funzione dallo stretto di Bering e dalla Kamciatka fino alle coste del Mar Nero, in grado di innervare di fluido elettrico i deserti ghiacciati del Nord e quelli infuocati del Sud».

Durante la Prima guerra mondiale, la competenza di Aleksej servì a rendere efficaci gli attacchi con i gas mortali. Sono ancora così potenti i meteorologi ?

«I gas e le armi chimiche, come saprà, sono proibiti, in linea di principio...».

Le sue paure?

«Un po’ di paura, in mare, la provo quando peggiorano le condizioni meteo».

L’argomento non si esaurisce?

«Nel mio ultimo libro ora in uscita per La Nave di Teseo, “Veracruz”, si consumano crimini nell’angoscia dell’attesa di un ciclone...».