Luigi Ghirri, l’intimità col mondo creata da uno sguardo

Al monastero di Astino le foto di Luigi Ghirri

"Marina di Ravenna", 1972

"Marina di Ravenna", 1972

Bergamo, 21 agosto 2016 - All'opposto di tanti suoi illustri colleghi che hanno rigorosamente praticato la fotografia in bianco e nero per depurare le immagini da ogni eccesso d’emozione e permettere una riflessione più accurata, Luigi Ghirri ha sempre scattato a colori: «Fotografo a colori perché il mondo reale non è in bianco e nero». Colori non saturi, beninteso, ma delicati, intimi, tali da poter riprodurre, senza tradirle, le nature morte di Giorgio Morandi. E ancora a differenza di tanti altri maestri, in prima fila i cultori della fotografia “umanista”, Ghirri non ha mai privilegiato la figura umana: l’uomo, se c’è nelle sue immagini, e c’è, e la riprova sta nella sensibilità mostrata nei suoi lavori, è al suo fianco, guarda con lui, è chiamato a decifrare insieme a lui i dati raccolti attraverso la percezione, così da trasformarli in pensiero visivo. Così le sue prime opere portavano titoli come “Atlante” o “Catalogo”, “Kodachrome” o “Paesaggi di cartone”. E s’intitola “Pensiero Paesaggio” la mostra di Ghirri, appena prorogata sino al 31 agosto, allestita nell’ex monastero di Astino, il complesso fondato nel 1107 per favorire l’insediamento in terra bergamasca dei monaci vallombrosiani, spregiatori incorruttibili delle pratiche simoniache.

ltre quaranta scatti, soprattutto “vintage prints” e “project prints”, celebrano il maestro di Scandiano scomparso nel 1992 a soli quarantanove anni. Un’esposizione che, anche nel catalogo edito da Silvana, ripercorre il metodo di lavoro di Ghirri, il suo gigantesco “work in progress” scaturito dalla collaborazione con gli artisti concettuali suoi coetanei. Non che le fotografie di Ghirri siano esempi di freddezza o, peggio, d’incomprensibilità. «L’idea fondamentale di Ghirri – sottolineano i curatori della mostra, Corrado Benigni e Mauro Zanchi – è quella della proiezione affettiva: lo sguardo come incontro con le cose, verso cui ci dirige una nostra tendenza intima».

Non esiste infatti una fotografia di Ghirri che desideri essere pura documentazione: «Tutte mostrano questo orientamento verso un campo di prossimità, di simpatie, di attrazioni e riconoscimenti di un’intimità esterna». Sia si tratti di paesaggi per così dire classici, sia di paesaggi artificiali. Di “viaggi interiori” alla scoperta della propria personale biblioteca. Persino, negli anni più giovanili, la riduzione fotografica in scala 1:10 del muro dell’autodromo di Modena tappezzato di manifesti pubblicitari.

Fotografo di rara vasta cultura, Luigi Ghirri. Un suo sintetico autoritratto: «Anche io non so dire se mi hanno illuminato di più i paesaggi musicali e poetici di Dylan, le sculture-architetture di Oldenburg o se invece sono state le cosmogonie di Brueghel, i fantasmi felliniani, le vedute degli Alinari, la purezza di Piero della Francesca o i colori di Van Gogh».

Ex monastero di Astino (Bergamo). Sino al 31 agosto. Catalogo Silvana.