Storie vere di profughi tra narrativa e analisi

Fatiche e pericoli, la disperazione quotidiana e un’unica speranza

Libri a confronto di Antonio Calabrò

Libri a confronto di Antonio Calabrò.

Milano, 23 ottobre 2016 - «A un certo punto ho alzato lo sguardo, dal mare i miei occhi sono saliti su fino alle stelle e non vedevo più me, ma era te che vedevo… tutte le cose che avevi fatto... il tuo ottimismo spesso irragionevole… Parlavi, ti sentivo dire che non potevo più sbagliare, che dovevo essere felice... C’era un gran silenzio, tuti dormivano e ho pensato che forse era vero quello a cui non avevo mai creduto, che potevamo volare e che eravamo liberi». È l’ultima pagina di Stanotte guardiamo le stelle” di Alì Ehsani, scrittore afghano, che pubblica per Feltrinelli il lucido, commosso, essenziale racconto di due ragazzi, Alì appunto e il fratello maggiore Mohammed, che negli anni Novanta delle guerre tribali e degli effetti dei grandi conflitti tra potenze geopolitiche trovano la loro casa distrutta da una bomba, i genitori uccisi e un solo destino di salvezza: fuggire.

Comincia così, la loro Odissea, dal Pakistan all’Iran, dalla Turchia alla Grecia e infine all’Italia, fatiche e pericoli, la disperazione quotidiana e un’unica speranza: attraversare quel Mediterraneo sulle cui sponde sono infine giunti e trovare rifugio e salvezza in un’Italia dove “giocano al pallone” (è la passione di Alì). Nelle pagine, il destino di tanti altri immigrati (come raccontano in uno spettacolo bellissimo, al Teatro Piccolo di Milano, Marco Baliani e Lella Costa, “Human”: la fatica e il dolore spesso fatale dei migranti, la scarsa intelligenza d’accoglienza dell’Europa). Ce la fa, alla fine, Alì. Adesso s’è laureato in Giurisprudenza a Roma, lavora da cittadino libero, scrive. E insegna a tutti noi cosa siano il dolore, la sofferenza, la speranza, l’ospitalità. Umana, appunto.

Viaggio. Come quello raccontato da Maria Paola Colombo in “Il bambino magico”, Mondadori, con tre bambini che fuggono dall’immaginario villaggio di Marinda-Ta, ex colonia francese, per finire in una controversa e difficile Milano che rivela, dietro i miti e i riti d’una straordinaria fascinosa contemporaneità, tutti gli anfratti sordidi delle miserie dell’accoglienza, del commercio di umani, della violenza delle bande e della prostituzione. Il “bambino magico” è nero e albino, stranissimo, dunque. Da proteggere. E sta proprio in questo gioco tra antiche credenze che tutelano radici e crudeli volti della modernità una delle chiavi di maggior successo del libro.

Letteratura che prende spunto concreto dalla vita. E cronache. Come quelle che animano le dense pagine di “Lacrime di Sale” di Pietro Bartolo e Lidia Tilotta, Mondadori. Lui è il medico condotto di Lampedusa, lei una giornalista Rai. E sono stati, ognuno a suo modo, protagonisti e testimoni, oramai da anni, degli sbarchi di decine di migliaia di migranti sulle coste dell’estremo avamposto d’Europa, l’isola siciliana. I volti, le storie, le precarie condizioni di vita, la lotta contro la morte, le scomparse, i bambini che vengono al mondo poche ore dopo l’approdo di salvataggio. Nel libro di Barolo e Tilotta c’è la testimonianza diretta e asciutta di tutto quello che noi, qui in Italia, facciamo, anche quando il resto d’Europa è assente.

Assente anche perché incerto, smarrito, impaurito, come documenta Zygmunt Bauman in “Stranieri alle porte”, Laterza. «Noi siamo un solo paese, una sola umanità», ricorda Bauman. «La crisi migratoria è il destino che abbiamo in comune», insiste. E la sua gestione è la sfida maggiore che ancora non sappiamo affrontare. Sfida politica ed economica, non solo umana. Non si può restare a guardare, come di fronte a un’improvvisa tempesta che prima o poi passerà.