Enrico Macioci: "Scrivo allo Yeti per cercare l’anima"

Romanzo sconvolgente, tra horror e passioni intense, che vede protagonisti un padre e un figlio di 6 anni

Lo scrittore Enrico Macioci

Lo scrittore Enrico Macioci

Milano, 29 giugno 2017 - Tra le voci più raffinate dei giovani scrittori italiani, reduce dal successo di “Breve storia del talento”, Enrico Macioci ritorna con “Lettera d’amore allo Yeti” (Mondadori). Romanzo sconvolgente, tra horror e passioni intense, che vede protagonisti un padre e un figlio di 6 anni, cui un infarto ha appena tolto la madre.

Perché questo tema?

«Il romanzo parla in particolare di perdita, di lutto. Del sentimento della perdita. Quando uno scrive, in realtà, si mettono in azione dei meccanismi inconsci. Di fatto, io non riesco ad affrontare il tema frontalmente. Inizio da uno stato d’animo, il resto si delinea e prende forma. Di solito parto da un’immagine, in questo caso quella del bambino che parla con un adulto attraverso una rete. Per arrivare dove volevo arrivare, inconsapevolmente, poi ho preso delle vie più tortuose di quelle che potessi immaginare. Ma c’è una spiegazione, la nostra parte creativa la sa più lunga della parte razionale».

Il rapporto tra padre e figlio, nel romanzo, è struggente. la sua forza. Cosa ti ha ispirato?

«Quella è senza dubbio la parte più autobiografica. Mi sono calato nelle paure di tutti i padri, credo»

Curiosamente però, rispetto al romanzo precedente quasi neorealista, per scrivere di un padre e di un bimbo soli hai scelto una formula quasi horror. Un piano di fantasia che dà corpo a molte nostre paure. Come mai?

«Il mio percorso di narratore è un po’ contorto. Fin da ragazzo ho sempre amato leggere e scrivere storie nel senso più tradizionale del termine. Poi, quando ho iniziato a pubblicare, ho scritto romanzi molto lontani dalle mie formule originarie, come “La dissoluzione familiare”. Con “Breve storia del talento” poi viaggiavo su atmosfere più classiche, anche perché la storia affondava un po’ nei miei ricordi reali di adolescente. Con “Lettera d’amore allo Yeti” sono tornato alle origini. A una narrazione pura, in cui interagiscono personaggi inventati. E questo ha corrisposto alla riscoperta di autori come Stephen King, un cantastorie fantastico che cito ossessivamente».

Cosa ti colpisce in King?

«È uno scrittore che ti parla all’orecchio, ma ha rovinato in parte dei romanzi straordinari mettendoci troppo horror. Il suo sguardo gelido sulla realtà, però, la caratterizzazione dei personaggi e altro ne fanno un grandioso indagatore del mistero. Perché alla fine la nostra esistenza non è altro che mistero. Nello stesso universo non conosciamo il 95% della materia. Non sappiamo da dove veniamo né dove andremo... Questo è per me il senso della letteratura. Esplorare il mistero interiore. L’horror è stato dunque per me solo una tappa intermedia, nel tentativo, o nella ricerca, di illuminare questo grande buio che ci circonda».