Debora Villa: "Né vippona né milf lolita: urge un po’ di autoironia"

Allo Zelig di viale Monza con il monologo “Sogno di una notte di mezza età”

Debora Villa

Debora Villa

Milano, 21 aprile 2017 - Nel mezzo del cammin di nostra vita. Quando tutto sembra cambiare dalla sera alla mattina. E le giornate si trasformano in avventure tragicomiche. Almeno se il Virgilio della situazione si chiama Debora Villa. Capace di strappare una risata anche di fronte alla prima ciocca di capelli grigi. Si veda il suo “Sogno di una notte di mezza età”, da stasera a domenica allo Zelig Cabaret di viale Monza (info: 02.2551774). Monologo per tutti. Ma dedicato con affetto a quella massa inquieta, fra i 40 e i 50 anni.

Debora, perché parlare della mezza età?

«Perché mi piace portare in scena cose che conosco. Per me il cabaret nasce nel mio microcosmo e dall’individuale si passa all’universale. D’altronde la gente si riconosce, siamo tutti un po’ quella roba lì, molto meno fighi di quello che pensiamo».

Quindi sul palco di cosa racconta?

«Di ricordi, di periodi della vita, di app, del concetto di tempo. Del fatto che ti dà fastidio tutto ma improvvisamente non ti tieni più nulla, tanto ormai hai un piede nella fossa».

Con chi se la prende?

«Coi padroni dei cani che non sono più proprietari ma parenti. E se gli dici qualcosa ti rispondono che visto che hai un figlio ma non un cane non puoi capire. Diciotto ore di travaglio contro cinque minuti di canile… Me la prendo con le vippone della mia età, come la Bellucci che ha dichiarato che per lei la bellezza è stata una dannazione. O le milf che se ne vanno in giro come lolite. Possibile che alla nostra età l’unica cosa da mostrare sia quella? Ma un po’ di bellezza interiore? A tutte piace essere corteggiate ma così è troppo».

Chi considera suoi maestri?

«Woody Allen, Dario Fo, Paolo Rossi. Mi piace una comicità intelligente. Oppure all’opposto, la totale stupidità, la risata pura, infantile. Una delle sere in cui ho riso più nella mia vita è stata anni fa coi Fichi d’India. Due ore di ritmo e totale cazzeggio, dei veri maestri, pulitissimi, senza doppi sensi, volgarità. E infatti per me non c’è ragione di suddividere fra comicità alta e bassa, al limite fra progetti onesti o meno».

E c’è molta onestà nell’ambiente?

«Tutt’altro. Ma vale anche per me. È un obiettivo cui tendere, bisogna resistere nonostante stanchezze, fragilità, tentazioni. In me c’è comunque un grillo parlante, una linea che divide il giusto e lo sbagliato».

Che momento è per il cabaret?

«Abbiamo un po’ rotto, bisogna rinnovarsi. Io faccio cose molto diverse: radio, tv, cinema. Il lavoro non ti cade addosso, bisogna andare a cercarlo. Nei prossimi mesi farò anche un progetto con Renato Sarti sulle deportazioni fasciste a Sesto San Giovanni. Niente di comico, ovviamente».

Come si trova in ambienti tanto diversi?

«Sono curiosa ma mi muovo in punta di piedi, ho solo da imparare. Poi di mio non sono mai tranquilla, è come se avessi dei sassi nelle scarpe. Sono figlia del vento. Che poi è un modo poetico di dire che sono una gran nevrotica…».