Quadri e paradossi, un cortocircuito dell’arte: Vincenzo Agnetti a Palazzo Reale

L’antologica ddell'artista nel centenario della nascita a Palazzo Reale dal 4 luglio

Visitatori in coda a Palazzo Reale per una mostra

Visitatori in coda a Palazzo Reale per una mostra

Milano, 27 giugno 2017 - Fu,c on Fontana e Castellani, Melotti e Scheggi, uno dei più spericolati esponenti dell’Arte Concettuale. E “Agnetti. A cent’anni da adesso”, la mostra che si aprirà il 4 luglio a Palazzo Reale – in parallelo contrapposto con “Time Out” di Giancarlo Vitali -, chiede anche oggi al visitatore uno sforzo per immergersi in un mondo in cui il paradosso la fa spesso da padrone creando cortocircuiti interpretativi da dipanare.

A partire dall’“Amleto Politico”, maxi-installazione che occupa un’intera sala. Alle pareti, sessanta bandiere di sessanta nazioni. Al centro, un palco. Diffusa da un altoparlante la voce di Vincenzo Agnetti che recita soli numeri. “Teatro statico”, lo battezzò il suo autore. Ovvero il “teatro del futuro”: senza movimento, senza personaggi, senza testo. Un teatro che si verifica nella mente dell’osservatore. Più in dettaglio: Amleto ricorda solo il monologo, ma Amleto è uno qualsiasi che arringa la folla, e il monologo diviene un comizio senza significato, quindi i numeri sono sufficienti a sostituire le parole… Chiaro perché al visitatore è richiesto uno sforzo?

Sono un centinaio le opere di Agnetti in mostra, realizzate fra il 1967 e il 1981, anno della scomparsa dell’artista, nato nel 1926: frutto di un’attività febbrile, quasi in previsione di una vita breve. Commenta Marco Meneguzzo, il curatore del’esposizione. “In Agnetti immagini e parole fanno parte di un unico pensiero. A volte la pausa, la punteggiatura è realizzata dalle immagini, a volte invece è la scrittura stessa”. E aggiunge: “Con questo appuntamento riscopriamo uno dei più grandi artisti concettuali. Il suo Concettualismo è diverso da quello anglosassone, americano, e anche da quello europeo: Vincenzo Agnetti ha un risvolto metafisico e letterario, pieno della nostra cultura, vorrei dire mediterranea, se oggi questo aggettivo non apparisse riduttivo”. Un concettuale più poetico, più “sentimentale”, dei suoi compagni d’avventura, Agnetti. Come nel suo “Autoritratto”: un feltro grigio su cui sono incise le parole “Quando mi vidi non c’ero”. Anche negli “Assiomi” su bacheliti nere: “La luce era la più lenta perché anche il vuoto riusciva a frenarla” o “Dato un oggetto qualsiasi esso sarà comunque il punto di partenza e di arrivo di un numero infinito di discorsi”. Artista anche nei titoli. Da non dimenticare il “Libro dimenticato a memoria”, sintesi delle sue ricerche. E la “Macchina Drogata”: una calcolatrice Olivetti Divisumma 14 modificata, ogni numero sostituito da una lettera, una vocale dopo ogni consonante, così che qualunque “operazione” produca comunque un’“opera d’arte”, se non significativa, almeno evocativa. Fu anche “fotografo”, Agnetti: a modo suo, naturalmente, vedi le “fotografie eseguita a mano libera” e quelle “eseguite a occhio nudo”. E scultore: Palazzi Reale ospiterà il “Trono”, firmato con Paolo Scheggi, a cinquant’anni dalla sua prima esposizione romana.

Palazzo Reale piazza del Duomo 12. Fino al 24 settembre. Catalogo Silvana.