Eredità o vendetta, quando il veleno è l'arma preferita

Dall'arsenico al parathion, passando per il tallio: diversi i casi di avvelenamento nella storia

 Milano, avvelenati con il tallio (La Presse)

Milano, avvelenati con il tallio (La Presse)

Milano, 11 dicembre 2017 - Veleno. Arma subdola, silenziosa, classica. Impiegata nei grandi drammi della storia come nelle cronache più minute, vicende di faide familiari, di modesti interessi, quando alle gelosie personali si mischia il culto verghiano della “roba”. Oppure in storie oscure, dove follia e lucidità corrono lungo lo stesso, esilissimo crinale. Brindisi di Natale al tallio. È il 2000 e a Usmate, nella casa di un medico cinquantenne, anatomo patologo all’ospedale Fatebenefratelli, si brinda con il vino di un pacco dono, sei bottiglie lasciate sulla porta di casa. Una mano ignota ha iniettato il veleno con una siringa. Finiscono all’ospedale i quattro commensali riuniti attorno alla tavola: il medico, la moglie, una coppia di amici. Il medico lotta contro la morte per tre giorni e sopravvive. Ma il mistero rimane insoluto.

Dolci al veleno per una ecatombe familiare. È il 1967. La sostanza è il parathion, un antiparassitario per le viti iniettato nei boeri e nelle merendine Buondì. Un teatro modesto, la cascina Bernardini a Moriano, frazione di Montù Beccaria, nell’Oltrepò Pavese. Alberto Scabini, agricoltore di 58 anni, è accusato di avere avvelenato il fratello Giuseppe, la madre Anna Vercesi, Giuseppina Vercesi, una ragazza di 19 anni, amica della nipote, e una bambina di 4 anni, Milena Scovenna, figlia di una coppia di parenti, e di quattro tentati omicidi: il padre Angelo, la cognata Linda Quaroni, moglie di Giuseppe, la figlia di questa, Ivana, Mariuccia Perduca, moglie di un cugino. Per l’accusa, Alberto Scabini sapeva che la madre aveva lasciato unico erede il fratello. Oberato dai debiti e bisognoso di liquidità (i problemi economici del figlio che aveva aperto una fiaschetteria a Milano, la necessità di fondi per un commercio di pali appena avviato), Alberto avrebbe tentato di sterminare la famiglia per entrare in possesso dell’eredità, una decina di milioni. Il processo in Corte d’Assise a Pavia si apre il 10 marzo 1969. Scabini si difende risolutamente. Il 26 marzo è assolto per insufficienza di prove per le morti del fratello, della madre, di Giuseppina Vercesi e i quattro tentati omicidi e con formula piena per l’omicidio della piccola Milena Scovenna. Scabini viene trovato morto nel suo letto la mattina del 27 febbraio 1970. Sul comodino solo le sue sigarette, ma gli esami del sangue svelano tracce di parathion.  Arsenico, il veleno più antico. Uccide Elisa Merclin, 33 anni, dama di compagnia di Maria Bonvecchiato, un anno più giovane, vedova. Il 29 maggio 1930 le due donne entrano in un bar-pasticceria in via Orefici, a Milano. Una propone all’altra un amaro col seltz. Hanno quasi terminato di sorseggiarlo quando la Bonvecchiato chiede all’amica la cortesia di acquistare per lei un foglio di carta bollata. Elisa esce e quando rientra riprende il bicchiere. La bevanda è amara, verdognola. Vorrebbe lasciarla, la Bonvecchiato la incoraggia a finirla. Quando rincasa, Elisa Merclin viene colta da violentissimi dolori. Muore il giorno dopo all’Ospedale Maggiore. Avvelenata. Maria Bonvecchiato viene condannata all’ergastolo. Determinanti la testimonianza del barista, che l’ha vista versare una polverina nel bicchiere, e le ultime parole di Elisa Merclin a un funzionario della questura: Maria l’ha indotta a girarle l’assicurazione sulla vita, circa 60mila lire.