La rabbia dei padri separati con figli: "Noi papà ridotti a bancomat"

Raduno in Brianza. "Li vediamo di rado e rischiamo il lastrico"

Un padre con suo figlio (foto repertorio)

Un padre con suo figlio (foto repertorio)

Brugherio, 3 settembre 2016 - «Papà c’è». Una scritta enorme campeggia davanti ai gazebo. Dentro, ci sono loro. I padri delle famiglie ‘liquide’ come la società contemporanea. Spezzoni di coppie andate in frantumi: chi non vede i figli da anni, chi si accontenta di incontrarli poche ore alla settimana, dopo un calvario fatto di carta bollata, ricorsi e udienze in polverosi tribunali di provincia. Qualcuno sente che da genitore è stato declassato «alla funzione di bancomat». L’altra faccia di un dramma, quello delle separazioni combattute sulla pelle della prole, si ritrova in Brianza, a Brugherio, dove al posto della classica festa di partito, fra gli stand della musica e le grigliate, si ritrova l’associazione lombarda che raccoglie i papà separati. 

Seduto a un tavolo ieri sera, all’apertura della manifestazione, c’era anche Emilio. Lui il mondo lo ha girato per lavoro. Proprio durante una delle sue trasferte un giudice ha deciso che a crescere il suo bimbo di quattro anni doveva essere solo la mamma. «Non mi hanno citato in giudizio, non mi hanno chiesto un’opinione, non mi hanno dato la possibilità di stare con il mio piccolo». Lo dice con dispiacere, non con rabbia. Come lui, in Italia, ce ne sono quasi due milioni. Tante sono le coppie che sono esplose. E solo il 2 per cento di questo esercito di genitori è un padre che può convivere con i suoi bimbi. «La legge sull’affido condiviso? Un flop – prosegue –. Dopo un anno, il mio piccolo non l’ho più rivisto. Non mi posso avvicinare a casa o vengo denunciato per stalking. Nessuno dei due sessi deve vincere sull’altro, ma mi manca mio figlio. Soffro da morire, ma non mi arrendo. Il suo benessere è nelle mani di un giudice, di qualcuno che nemmeno conosce».

Già, perché quando va bene, il tempo che un padre separato può dedicare a un figlio «è solo il 3 per cento», spiega l’organizzatore dell’evento, Domenico Fumagalli, che parla deciso. Il resto è solitudine e forse senso di colpa. Sguardo basso e un filo di voce, invece, Pasquale ha passato la settantina. «La mia pensione e i risparmi di una vita sono andati alla mia ex – racconta – e a sua figlia: l’ho amata come fosse mia dal primo momento in cui l’ho vista. Ma all’improvviso – aggiunge – mi sono trovato solo, tradito: quando ho intestato a loro le case comprate per la sicurezza della mia vecchiaia mi hanno mollato. Non so a chi chiedere aiuto. Mi ritrovo il mondo contro senza aver fatto nulla di male».

Sono decine le storie, centinaia gli episodi di cui, talvolta accorati, altre volte composti e riservati, i papà raccontano. Su di loro aleggia anche lo spettro della povertà: secondo stime dell’Università Cattolica, infatti, il 15 per cento dei padri che versano l’assegno di mantenimento rimane con un reddito residuo di appena cento euro. A chi va bene, ne restano quattrocento. L’associazione prova a fare squadra e cambiare le cose: in Parlamento giace un progetto di legge per modificare la norma sull’affido del 2006. «Ma le priorità della politica sembrano altre, eppure il divorzio per chi ha meno soldi è una sciagura anche nel portafogli», dice Fumagalli. E non c’è neppure la consolazione dell’affetto: «Solo tre del centinaio di persone presenti stasera – racconta un altro genitore –, è riuscito a ottenere l’affidamento dei figli. Ma dopo lunghi anni di lotta. Non è giusto». Nell’area della festa, solo volti maschili. Ma al telefono, d’improvviso, risuona la voce di una donna. «Non è vero che loro non capiscono – aggiunge Fumagalli –. Madri, sorelle, nonne e zie vivono il nostro stesso calvario. A Montecitorio devono svegliarsi».