Morgan: "Fidatevi della cultura e dei sogni"

L'artista rilancia il ruolo di Monza come satellite della musica

Morgan (Radaelli)

Morgan (Radaelli)

Monza, 25 febbraio 2018 - «Uno non fa le cose per la posterità. Soprattutto quelli bravi. Lo fanno perché non possono fare altrimenti. Io godo di Ungaretti, Pasolini... Sono morti loro ma non quello che hanno fatto. Allora dobbiamo pensare di fare qualcosa intanto che siamo al mondo». Il «pensiero semplice» di Marco Castoldi in arte Morgan è questo. Parla di voler essere «il trampolino», di voler «fare qualcosa che poi vada avanti anche dopo di me». Un punto di partenza. «Parlo di un concerto con ospiti internazionali, con la Villa Reale come scenografia. Tu devi guardare il concerto e dietro c’è la Villa». Un evento che abbia anche una prospettiva televisiva. Roba da qualche milione. «Magari da rivendere alla Rai». Perché «noi sappiamo quello che abbiamo ma per capitalizzare ci vogliono grandi numeri, grandi audience». Ecco perché Morgan vorrebbe fare «uno spettacolo televisivo con un concerto che sia il primo di una lunga serie. E per suonare su quel palco vorrei un’orchestra sinfonica, cento elementi, tutti ragazzi della zona che hanno tanta voglia e bravura. Facciamo leva sulle idee e le persone fresche. Giovani musicisti che poi dentro sono ragazzi che ascoltanto pop e quindi riescono a combinare e fondere i generi».

Morgan è un vulcano. Due album già pronti di musica sentimentale e sociale. E la convinzione che si possa cambiare. Che «fare musica non è solo fare il protagonista, c’è tutto un lavoro attorno alla cultura: signica l’orchestra, i tecnici, il palco, le riprese ma anche la comunicazione. Questo vuol dire creare una scuola di alta formazione, professionalità concentrate in una scuola internazionale di musica». Come quella di cui parla il sindaco Dario Allevi. Due idee per lo stesso obiettivo. Ma occorre fidarsi. «La cultura è questo – insiste Morgan –. Cosí come dice una professoressa quando deve spiegare latino ai suoi studenti: “io lo so, tu no. Se vuoi imparare mi lasci parlare e tu ascolti”. Fidati». Ecco.

E allora «anche gli industriali, investendo, devono fidarsi. Dovranno». Soprattutto a loro si rivolge Morgan per condividere il suo sogno leonardesco. Li ha voluti invitare allo Sporting Club per una serata “educativa”. Lui con un gruppo di amici, Piero Cassano (Matia Bazar), Fausto Leali, Andy dei “suoi” Bluvertigo, Aldo Baglio del trio Aldo, Giovanni e Giacomo. Del resto «gli industriali possono essere saggi – la provocazione –. Hanno il potere economico. La Brianza è il posto in cui vivo ed é bello anche da un punto di vista creativo, solo che è molto legata all’individuo. Non condivide molto. E invece ci sono state bellissime storie di vita e di arte», racconta Morgan mentre accarezza il piano sulle note di “Non arrossire”, tra i primi successi di Giorgio Gaber «scritto a Monza da un monzese, Davide Pennati». Anche Cassano, quando abitava all’ultimo piano in via Cavallotti, ha scritto “Adesso Tu” e “Quando nasce un amore”. Eppure oggi «nel mondo vedo che hanno qualcosa in più, un grigiore in meno». Monza non è riuscita a diventare satellite. È questa la differenza. Se oggi vai a New York e chiedi dov’è la musica, ti rispondono è a Williamsburg. Brooklyn, mica Manhattan. Lì c’è la scena che conta. Il festival di Woodstock non lo hanno mica fatto a Woodstock. Fu a Bethel ma Woodstock era al centro della cultura perché lì viveva Bob Dylan e c’era la famosa casa rosa, Big Pink. Idem Manchester, la città più importante dall’inizio degli anni Novanta in Inghilterra.

Lì il 4 febbraio del 1977, l’anno che incendiò la musica, l’anno in cui «i due sette si scontrano» come cantavano i Culture, in un piccolo locale suonano i Sex Pistol, per la prima volta al di fuori di Londra. Tutti quelli che sono usciti da quel concerto hanno fatto diventare Manchester il centro della musica in Inghilterra. E a sentire i Sex Pistol, in quel localino, c’erano solo 43 paganti. «Essere satelliti vuol dire puntare sulla qualità anziché sulla quantità. Non é necessario esere tanti per essere giusti». A Monza c’erano i Bluvertigo, fra gli Ottanta e i Novanta. La prima band che ha messo il fatto di avere un’immagine attraverso i videoclip come parte integrante del proprio processo artistico di comunicazione.  «Abbiamo avuto inclinazione a concepire un brano pop non disgiunto dal suo aspetto immaginifico – racconta Morgan –. I nostri demotape nel 1985 erano già con copertina, fatta da Andy. I Bluvertigo sono la mia realtà. Ho trasformato in Sex Pistols la cosa mia. Ho sognato quella cosa. Così come adesso veniamo a condividere un sogno».

Il sogno che «gli industriali investano sulla cultura pensando che non sia una roba che non produce denaro. La cultura non è quello che pensano i politici. Usciamo dal fascismo delle parole. Cultura è ciò che rende l’Italia il paese più bello del mondo. Se noi siamo la città col reddito pro capite più alto, vogliamo metterlo da qualche parte ’sto reddito?». Partendo da qui. Combinando «le mie risorse artistiche con il genio imprenditoriale degli industriali brianzoli». Un po’ come fece il produttore discografico Tony Casetta, imprenditore che amava il jazz ma fece i soldi con Santo & Johnny e Casadei. E con quelli si comprò il castello di Carimate, ci realizzò due sale prova e sulla rivista americana Billboard raccontó la storia del castello e la discografia italiana. Lì vennero poi prodotti “Un gelato al limone” di Paolo Conte, Lucio Dalla, Finardi, gli Yes, gli Ultravox. Tu guarda il binomio imprenditori e musica. E allora «torniamo a difendere le idee originali che vengono dal made in Italy». Restituiamo valore alla musica italiana e alla cultura. Resettiamo tutto. E riportiamo tutto “a quote piú normali” come direbbe Battiato.

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