Delitto Lidia Macchi: Binda, attacco all'alibi sulla neve

Caso Macchi, giallo sull’agenda. La parte civile incalza, lui: «Innocente»

Stefano Binda (Newpress)

Stefano Binda (Newpress)

Varese, 3 febbraio 2018 - «Signor Binda, ho fatto ricerche nelle agende in cui lei ha riportato tutte le gite a cui ha partecipato con Gioventù studentesca: Cervinia, Rimini, Folgarida, Lanzo d’Intelvi, ancora Cervinia, Parigi, Perugia, Vienna e Salisburgo. Solo per quella a Pragelato lei annota il numero di stanza e i nomi degli occupanti e due di questi sono gli unici che hanno testimoniato della sua presenza». L’avvocato Daniele Pizzi, parte civile per la famiglia di Lidia Macchi, sottopone Stefano Binda a un controesame tenace, puntigliosissimo, che punta diritto all’alibi dell’uomo accusato dell’omicidio della studentessa varesina: la sua presenza a un soggiorno di studio a Pragelato, dall’1 al 6 gennaio 1987, mentre Lidia veniva straziata dal coltello del suo assassino, la sera del 5. Su un’agenda Smemoranda Binda scrive il numero di camera nell’albergo (212) e i nomi degli occupanti: Matthew, Gian Maria, Cico (Donato Telesca) e Jean (Gian Maria Bacchi Mellini). Telesca e Bacchi sono gli unici dei cinquanta ragazzi in gita a ricordare Binda. P

erché tanta precisione per “quella” vacanza e non per altre? E perché la pagina del 5 gennaio, giorno del delitto, è bianca salvo il testo di una canzone, come è intonsa quella del 6? «Avevo - è la risposta dell’imputato - l’idea che quella sarebbe stata l’ultima gita invernale del liceo. Se lei intende che mi sono segnato il numero e i nomi, escludendone uno e inserendo me , beh ...».. Il legale di parte civile e lo stesso presidente della Corte d’Assise di Varese, Orazio Muscato, lo incalzano, stimolano in ogni modo la memoria di un fatto, un episodio, un particolare di quei giorni. Binda ricorda di avere pattinato per la prima volta, all’aperto, di essere caduto più volte, di avere avuto timore che mentre era a terra gli atri pattinatori gli passassero sulle mani. Ricorda una ragazza su cui mutò opinione e che si rivelò simpaticissima. «Ricordo che era una località più disagevole di altre. Che stavo con le persone al bar, leggendo. I pranzi erano un po’ desolanti eravamo in pochi, gli altri sciavano».

Stefania, la sorella di Lidia, era a Pragelato e a differenza dell’imputato ne conserva un ricordo nitido. Impossibile un confronto. «Temo - dice Binda - che se ci si basa sui miei ricordi non si possa farlo». Pizzi contesta che un’altra agenda sia priva delle pagine dal 5 all’8 gennaio e che sia stata rappezzata con dello scotch. Contesta che Binda non abbia detto il vero quando ha affermato di non usare il lapis. «Mi scusi - obietta verso il finale l’avvocato dei Macchi -, ma lei dà l’impressione di uno che cammina in montagna e cerca di mettere i piedi nelle orme lasciate dagli altri». Stefano Binda abbandona i ripetuti «non ricordo» e le lunghe pause. «Non ho commesso l’omicidio – dice con impeto –. Non sono coinvolto. Non ne so nulla. Sono innocente. Sono innocente e sono ignaro. È una cosa di cui io non so nulla. Sono nella posizione non solo di innocente ma anche di chi non ha elementi da fornire».

L’avvocato Patrizia Esposito, difensore con Sergio Martelli, propone una versione antitetica. «Non è vero che Binda annoti camera e compagni soltanto per Pragelato. Lo fa per le gite, fra l’83 e l’86, all’Alpe di Siusi, Vienna e Salisburgo, Rimini, Parigi. Quanto alle sue agende con pagine mancanti, foglietti inseriti, mani diverse da quelle di Binda, queste giravano, c’era chi le portava a casa e le restituiva a Binda il giorno dopo». Finalmente il giorno della pietà. Il gip Anna Giorgetti ha firmato per la restituzione delle spoglie di Lidia, ancora alla Medicina legale di Milano. Il 10 febbraio una cerimonia di suffragio la ricorderà con il padre Giorgio. Poi padre e figlia torneranno a riposare insieme nel cimitero di Casbeno.