Nuova giustizia sociale, le possibili soluzioni

In stagioni di radicali cambiamenti economici e sociali succede che aumentino le diseguaglianze e le ingiustizie

Milano, 14 gennaio 2018 - In stagioni di radicali cambiamenti economici e sociali succede che aumentino le diseguaglianze e le ingiustizie. Le due questioni sono ben diverse tra loro, come spiega Angus Deaton, premio Nobel per l’Economia 2015 (“IlSole24Ore”, 27 dicembre 2017): le prime fanno parte del ciclo economico e hanno anche aspetti positivi (stimolano competizione, mostrano gli effetti del premio al merito), purché non eccessive. Le seconde vengono giustamente percepite negativamente. Torna in mente la sfida, ancora aperta, di coniugare libertà e giustizia sociale.Temi forti, su cui torna la pubblicistica più qualificata. A cominciare da Martha C. Nussbaum con “Rabbia e perdono - La generosità come giustizia”, Il Mulino. Nella società in cui crescono intolleranze e rancori e vengono messe in discussioni le ragioni stesse della convivenza civile, in nome di nazionalismi, razzismi e populismi, vale la pena andare alle radici dei sistemi di relazione, nelle piccole e grandi comunità.

La Nussbaum  insiste sull’analisi della “rabbia”, “velenosa e popolare”, legata “all’affermazione del rispetto personale, negli uomini alla virilità e nelle donne alla rivendicazione dell’eguaglianza”. Giuste partenze, spesso. Che però, distorte anche dalla pervasività dei nuovi media, alimentano circuiti viziosi di contrapposizioni. Meglio, suggerisce la Nussbaum, rivedere le idee di perdono, punizione e giustizia: “L’ingiustizia dev’essere contrastata con un’azione coraggiosa ma soprattutto strategica. Costruire un mondo umanamente ‘abitabile’ richiede intelligenza, autocontrollo e generosità, una paziente e indefessa disposizione d’animo a vedere e cercare il bene più che a fissarsi ossessivamente sul male”. È un forte impegno morale. Ma anche un lungimirante discorso sulla sopravvivenza della democrazia. Tema cardine pure per le pagine di “Il secolo greve” di Mattia Ferraresi, Marsilio, una ricerca “alle origini del nuovo disordine mondiale”. Lo sguardo è diretto sugli Usa nella stagione di Trump, come paradigma delle trasformazioni in corso. S’indaga sulla crisi profonda delle culture “dell’ordine liberale”: “Mercato, democrazia rappresentativa e globalizzazione sono sul banco degli imputati”. E “non sono le invasioni dei nuovi barbari a minacciare la cittadella liberale, sono le fondamenta della cittadella stessa a dare segni di cedimento”. Stati Uniti a parte, c’è una generazione, quella dei trentenni e quarantenni, che è stata illusa dalle promesse d’un migliore futuro da effetti positivi di liberalizzazioni, flessibilità e globalizzazione e oggi invece vive nel disagio dei sogni immiseriti, infranti. Lo racconta Raffaele Alberto Ventura in “Teoria della classe disagiata”, minimum fax. Documentando le crepe d’un minuscolo individualismo, le conseguenze della frattura del “patto generazionale”, i limiti d’una cultura “ridotta al mercato”. Un altro grave elemento di crisi politica e sociale.