Bloccato in Cina per questioni fiscali: "Ma la vittima del raggiro sono io"

Contestato un debito di 4 milioni a un bergamasco. Via il passaporto

Sonzogni sulla Grande Muraglia

Sonzogni sulla Grande Muraglia

Bergamo, 7 dicembre 2017 - «Rischio di trascorrere il Natale qui a Pechino, lontano dai miei». Valentino Sonzogni, 50 anni, di Almè, è disperato e non sa darsi pace. È bloccato a Pechino per via del fisco cinese e della burocrazia. Era partito per una vacanza il 26 novembre e sarebbe dovuto rientrare in Italia il 2 dicembre. Ma all’aeroporto si è visto ritirare il passaporto e da li è iniziata la sua odissea. Secondo il fisco cinese il 50enne di Almè deve versare alle casse del fisco 30 milioni di yuan, l’equivalente di quasi 4 milioni di euro. «Colpa di una società di joint venture di cui sono stato legale rappresentante fino al 2010 – racconta – Quell’azienda doveva essere chiusa, o almeno così pensavamo noi investitori che l’avevamo creata dall’Italia per aprire negozi di abbigliamento. Ma il nostro progetto non ha funzionato e così abbiamo deciso di farla cessare. Qualcuno in Cina, invece, non ha eseguito le nostre indicazioni. E senza che né io né i miei soci lo sapessimo, sono state fatte delle operazioni che hanno creato quell’incredibile buco di 30 milioni di yuan». Siamo nel 2012. La persona responsabile di quel debito col fisco è stata denunciata alle autorità locali da una dipendente.

«Io non sapevo nulla di tutto questo – confida Sonzogni – tant’è che nel 2013 e nel 2015 sono venuto in vacanza in Cina senza problemi. Il 2 dicembre ero pronto a salire sull’aereo per tornare in Italia quando un funzionario dell’aeroporto mi ha fermato e mi ha spiegato, a grandi linee, la situazione». Ora Sonzogni è bloccato a Pechino, dove sta cercando di fare chiarezza insieme all’ambasciata italiana e a due avvocati cinesi, Lihong Zhang, giurista di fama internazionale già docente dell’università di Shanghai, e Yang Zhanwu del foro di Pechino. «Mi è stato detto che la situazione si potrebbe sbloccare tra 15-20 giorni, ma io spero vivamente che i tempi siano più stretti: non ho nessuna intenzione di restare come un prigioniero in Cina per un reato che non ho mai commesso. Sia chiaro: qui la vittima della truffa sono io».