Milano, 15 giugno 2014 - “Invecchiando gli uomini piangono”, scrive Jean-Luc Seigle per Feltrinelli. E racconta la malinconia e poi la lucida disperazione di Albert Chassaing, operaio della Michelin nel giorno in cui a casa arriva la Tv. 9 luglio 1961. Provincia francese, dalle parti di Clermont. Lavoro duro e vita dignitosa, fabbrica di notte per Albert, una macchina da cucire casalinga per la moglie Suzanne, un figlio minore, Gilles, che scopre i libri di Balzac e costruisce una via di fuga nel mondo della letteratura. E il primogenito, Albert, soldato in Algeria, al tempo della rivolta anti-francese per l’indipendenza. Tempi di passaggio, epifanie di cambiamenti. Che stravolgono appunto la vita di Albert. Perché da quella Tv arrivano le immagini terribili della guerra. E Suzanne crolla, terrorizzata dai rischi del figlio prediletto. Farlo tornare, dunque. Sottrarlo alle battaglie e ai pericoli di morte. Ma come? Gli orfani, possono essere rimpatriati. Ed ecco dunque il dilemma di Albert. La paternità è responsabilità. Impone una resa dei conti.

Capire se si sa reggere il carico dei tempi nuovi. Fare un bilancio di vita. E sapere che quella vita continua, almeno in parte e pur se molto diversa, nei figli. Romanzo doloroso. E bellissimo. Con un filo di speranza, comunque. Già, i figli. Somiglianze. E differenze radicali. Da subire. Rispettare. Far crescere. Ma anche da cui difendersi: ogni persona ha la sua dignità. Questo è, appunto un romanzo sulla dignità e sulla responsabilità: “L’eroe discreto” di Mario Vargas Llosa, Einaudi. Con tre protagonisti: Felícito Yanaqué, proprietario di una ditta di trasporti a Piura (in Perù), Ismael, ricco imprenditore di Lima, che vecchio e malato, sposa la cameriera Armida e fugge e Rigoberto, il suo amico ed esecutore testamentario. Uomini legati da un forte senso di dignità. Perché Felícito decide di resistere alle minacce anonime di una banda criminale, nonostante i figli, amanti della vita quieta, gli consiglino di subire, pagare e tacere. Ismael sottrae ai figli scapestrati il patrimonio che sono pronti a dilapidare e Rigoberto, nonostante pressioni e intimidazioni, difende la volontà dell’amico. Si è uomini con la schiena dritta, anche quando in famiglia prevale il compromesso morale.

Capita per fortuna che altre e migliori eredità, i padri lascino ai figli. Quella dell’ansia di libertà d’un partigiano, per esempio. Che segna la vita di Giacomo Colnaghi, magistrato nella Milano degli “anni di piombo”, protagonista dell’intenso “Morte di un uomo felicedi Giorgio Fontana, per Sellerio. Giudice severo, impegnato in un’indagine su una banda di terroristi. Ma anche un credente non bigotto, una persona che vuole capire, attenta all’umanità e al rapporto tra libertà e responsabilità (appunto la lezione paterna). Vivere significa cercare un senso profondo delle proprie scelte, anche a costo della vita. Paternità è trasmettere valori. Come? Lo spiega Remo Bodei, uno dei migliori filosofi italiani, in “Generazioni – Età della vita, età delle cose”, Laterza: “Ognuno può tramandare, oltre a beni economici, reti di relazioni e perfino debiti, anche valori morali, politici, culturali e affettivi. In questo modo ogni generazione lascia sulla successiva la sua indelebile impronta”. Eredità di scelte e parole, appunto. Così, la vita continua.