Milano, 13 giugno 2014 - L’Italia ha perso due guerre negli ultimi settant’anni. La prima nel 1947, la seconda nel 2012. In quell’anno lontano venne ratificato da parte dell’Assemblea costituente il Trattato di pace che sanciva un’umiliante ridimensionamento della sovranità nazionale anche se formalmente restava intatta. Due anni fa, complice una classe politica devastata dai sensi di colpa nei confronti dell’Unione europea, venne votato dal Parlamento (tutt’altro che all’unanimità) il Fiscal compact che comporta l’inserimento in Costituzione del pareggio di bilancio in ossequio a quanto stabilito dalla Banca centrale europea per mettere il Paese al riparo del default. Anche in questo caso si registrò una cessione di sovranità (economico-finanziaria) ad organismi tutt’altro che democraticamente controllabili. L’azione politica, naturalmente, si è ristretta ulteriormente e l’Italia se non è ridiventata una mera “espressione geografica” poco ci manca.

Le due guerre “perdute”, che molti politici non ammettono negando l’evidenza, vengono indagate, con scrupolo da Andrea Cangini, brillante notista politico del Qn. Dal suo libro, non a caso intitolato “L’onore e la sconfitta”, emerge con drammatica chiarezza come il filo conduttore della politica italiana in questo lungo dopoguerra sia stato quello della rinuncia, della subalternità consapevole, al punto che oggi, in riferimento alla disfatta sul piano europeo, si può tranquillamente sostenere, come fa l’autore, che governare è diventato per lo più una finzione. Una ben tragica finzione se è vero, come è vero, che le decisioni politiche che ci riguardano non si prendono più a Roma, ma a Berlino, Bruxelles, Francoforte.
A differenza del 1947, quando l’Italia dovette piegare la testa, oggi non c’è un Benedetto Croce che prende la parola per dire che “le future generazioni potranno sentire in se stesse la durevole diminuzione che l’avvilimento, da noi consentito, ha provocato nella tempra italiana fiaccandola. Questo pensiero mi atterrisce”.

Non atterrisce il pensiero che una significativa limitazione della sovranità dopo l’approvazione del Fiscal compact renda marginale se non irrilevante l’Italia sul piano internazionale. I “patrioti” – a parte qualche lodevole eccezione come Antonio Martino – sembrano essersi estinti. E perfino coloro che invocano l’uscita dall’euro lo fanno senza convinzione ben sapendo di utilizzare un espediente demagogico di impossibile attuazione quando invece sarebbe il caso di rivedere i Trattati che ci vincolano ad un patto divenuto insostenibile. Dai due dibattiti – quello del 1947 e quello del 2012, entrambi svoltisi nell’aula di Montecitorio – Cangini ricava una dolente conclusione sui destini del nostro Paese. Chissà se un giorno l’Italia avrà una politica in grado di riscattare due guerre perdute in tempo di pace. Al momento è lecito nutrire il più profondo pessimismo.

Andrea Cangini, «L’onore e la sconfitta», Minerva edizioni

di Gennaro Malgieri