Milano, 4 aprile 2013 - Parto dalla fine. Da quando a Giovanna Calvino ho stretto la mano, ringraziandola per l’intervista concessami e confessando l’onore per averla conosciuta. Ché noi siamo anche quello che i nostri genitori sono, erano. E Giovanna è anche un po’ Italo. Proprio lui. Italo, quello che dalle librerie (anche virtuali) non scomparirà mai.

Incontro Giovanna alla Fiera del Libro per Ragazzi di Bologna, dove ha presentato “La strega dentro di me” (Mondadori, illustrato da Marina Sagona, matita originalissima), suo primo libro per bambini, anzi, suo primo libro in assoluto. Una donna bellissima, nella quale riconosco i lineamenti del padre. Poi domanda dopo domanda, in lei ritrovo anche la sua ironia, l’umiltà intellettuale, l’intelligenza.

Insegna a dei ragazzoni letteratura Italiana e francese all’università di New York, come mai un libro per bambini?
«Me l’ha proposto la mia amica Marina Sagona, l’illustratrice del libro. E la storia mi è venuta facile perché è totalmente autobiografica nella parte psicologica. La differenza è che la narratrice capisce qual è l’antidoto alla strega che è in lei da bambina... io l’ho capito poco tempo fa!».

Argomento non semplice...
«Sì, infatti la mia strega, che adesso sta qui con noi, le direbbe “Ma scusa, vuoi che lo capiscano i bambini?”. Insomma, non è molto d’accordo la mia strega, dice che il libro non è per i bambini, non è per gli adulti...».

È perfetto, è per tutti, un po’ come certi libri di suo padre. La sua strega ha un nome?
«No, perché è una parte di me. E vuole farmi credere che è la parte più saggia».

Così non è?
«Così non è ma non si può buttare via, cioè io l’ho fatto tutta la vita di dire se potessi superare le mie insicurezze, se potessi essere meno timida, più così, più cosà. E invece è cercando di conoscere e accettare questa parte di noi che non ci piace che credo si arrivi a capirne la ricchezza. Perché poi la strega è anche simpatica, è buffa e se uno butta via quella parte di sé magari butta via il sense of humour e anche l’immaginazione».

Qual è il libro di suo padre che le piace di più?
«Siccome li rileggo, ogni tanto cambio idea. Per anni mi sono piaciute molto “Le Cosmicomiche”, forse anche perché mia madre mi disse che le aveva scritte quando lei era incinta di me. Ora “Il barone rampante”.

Si è mai arrampicata su un albero?
«Sono cresciuta in Toscana con dei pini immensi, inespugnabili. Gli alberi su cui mio padre saliva erano a Sanremo, in un giardino che ora non c’è più. Mia nonna era botanica e mio nonno agronomo, vissero in Messico e a Cuba, portando in Europa delle piante che non c’erano, come l’avogado e il pompelmo. Anche l’albero del barone, che era un falso pepe».

Com’era papà Italo, le leggeva i libri da bambina?
«Ricordo che d’estate mi leggeva l’Odissea e l’Inferno».

L’Odissea? L’inferno? Ma quanti anni aveva?
«Ero piccola, volevo sempre scappare a giocare. Era preoccupato perché non leggevo. Poi a 13 anni ho iniziato a leggere Agatha Christie. Ma lui è morto, non so se ha capito quanto lettrice sono diventata».

È stato un papà ingombrante?
«Ingombrante no, non dal punto di vista della fama. Quando ero molto piccola, alla spiaggia, un altro bambino mi disse “Ma lo sai che tuo papà è famoso?”, così io andai da lui e gli dissi “Mi hanno detto che sei uno ‘scrivatore’ molto famoso”. Lui... non ne parlava. Almeno nella parte della sua vita che ho conosciuto io è stato un papà.... Diverso da quelli delle mie amiche, però non ha mai fatto pesare chi era. Ad esempio, quando gli chiedevo di aiutarmi per la scuola, lui mi diceva il meno possibile, voleva essere obiettivo».

Le è capitato di tenere lezioni sui suoi libri?
«Non sono a mio agio. Anni fa ho insegnato “Il sentiero dei nidi di ragno” e ai ragazzi dissi (ride) “Fate voi, ma se mi dite che non vi piace dovete avere proprio dei buoni motivi!».

Lei compare in qualche suo libro?
«Sì! Ne “I disegni arrabbiati”, un racconto per bambini che narra di Lodolinda che passa il tempo a disegnare cose indecifrabili, proprio come facevo io».

Spengo il registratore. Ma la conversazione prosegue. Giovanna racconta che suo padre scriveva solo a mano, per necessità. Chiedo se oggi avrebbe usato il computer e lei ne è convinta: era un uomo che andava incontro al futuro, non lo rifiutava. Vero. Ricorda che scriveva al mattino ma che era divertente vedere come «perdeva tempo, tergiversava perché scrivere gli metteva ansia» e allora finiva col lavorare nel pomeriggio. Non amava parlare dei suoi libri, diceva che quel che aveva da dire lo aveva scritto; e poi odiava le interviste dal vivo, preferiva avere le domande per iscritto, voleva avere il tempo di pensare alle risposte. I genitori avrebbero voluto che seguisse le loro orme? «All’inizio sì. Poi hanno capito. Non a caso però la scienza, la ricerca dell’ordine scientifico nelle cose è costante nelle opere di mio padre - dice Giovanna -. Il signor Palomar è lui, è la sua autobiografia».

di Teresa Bettarello