"Tamoil sapeva del Po inquinato. Ha agito con due anni di ritardo"

Studio Ispra aggrava la posizione processuale del management di LUCA ZORLONI

Stabilimento Tamoil di Cremona trasformato in sito di stoccaggio

Stabilimento Tamoil di Cremona trasformato in sito di stoccaggio

Milano, 7 giugno 2016 - Il 24 ottobre 2012 l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) spedisce al Ministero dell’Ambiente una relazione tecnica in cui calcola i danni all’ambiente della raffineria Tamoil di Cremona, già finita sotto la lente della magistratura. Diciassette pagine con cui gli esperti di Roma fanno il bilancio dell’avvelenamento intorno allo stabilimento della compagnia petrolifera, dismesso dal 2011 e oggi ridotto a un sito di stoccaggio. «Nel marzo 2001 il gruppo Tamoil ha presentato, nei termini di legge, la denuncia della contaminazione del sito della raffineria, ai fini dell’avvio delle procedure di bonifica – si legge nella relazione Ispra -. Ha tuttavia sottovalutato, sulla base di presupposti tecnici erronei, il rischio di diffusione della contaminazione all’esterno del sito. In particolare, l’azienda asseriva che esistesse una barriera di argilla (cosiddetto «taglione») sull’argine del fiume Po, in grado di contenere la diffusione della contaminazione attraverso la falda. L’efficienza di questa asserita barriera non è stata, tuttavia, mai dimostrata, pur disponendo l’azienda di un’area di proprietà localizzata a valle (il sito del Cral aziendale), presso cui sarebbe stato possibile effettuare tutte le opportune verifiche. I fatti hanno poi smentito tali asserzioni».

Tanto che quando nel 2005 Tamoil avvia la «caratterizzazione» della falda esterna alla sua raffineria, scrivono da Isprea, «è emersa una situazione di grave compromissione aziendale», con un inquinamento da idrocarburi e da piombo registrato «anche oltre il taglione». E solo nell’agosto 2007 scatta la barriera idraulica che dovrebbe frenare lo scivolamento verso il Po di inquinanti, tra cui «in alcuni casi, benzene – osservano da Ispra -. Pertanto, dal 2001 al 2007 la contaminazione della falda ha continuato a diffondersi nell’area esterna. L’omissione dell’intervento ha permesso che un elevato quantitativo di inquinanti sia migrato oltre i confini aziendali (ed oltre l’attuale barriera idraulica), contaminando le risorse ambientali della zona».

Ma a quanto ammontano i veleni nell’area? «Un primo quantitativo di tali sostanze, che tiene conto dei soli idrocarburi in fase acquosa – scrive Ispra – può essere stimato in base ai dati risultanti dall’esercizio della barriera idraulica ed ammonta a circa 40 tonnellate di idrocarburi totali ed a circa 2,5 tonnellate di btex (la famiglia del benzene, ndr)». E Ispra mette nero su bianco che «non rileva che la contaminazione del sito sia stata causata da fatti commessi in precedenza», perché «in particolare, l’accertata presenza, nelle acque di falda, di mbte (additivo antidetonante nella benzina verde in sostituzione del piombo tetraetile a partire dagli anni novanta fino ad oggi) dimostra che una fonte di contaminazione era attiva nell’azienda anche durante gli ultimi anni di gestione». Le conseguenze sono danni alla falda dell’acqua, ai suoli e al Po, una perdita di flora e fauna locale e rischi «sanitario» per le popolazioni locali.

Per Ispra, gestire e mantenere l’area costerebbe «in via cautelativa», 5,4 milioni di euro, una «minima quota» di risarcimenti che comprendono anche la riparazione dell’ambiente e della pubblica amministrazione. Dati, numeri e osservazioni oggi in possesso del Comune di Cremona, che nello scorso dicembre ha sostituito il radicale Gino Ruggeri come parte civile nel processo d’appello a Brescia a carico dei dirigenti Tamoil.