Uccisa in Kenya, le lacrime del marito: "Non ce l’ha fatta, è colpa mia"

Cremona, la polizia africana ha fermato il giardiniere del villino

La coppia aggredita nella casa di Mombasa

La coppia aggredita nella casa di Mombasa

Cremona, 25 luglio 2017 - «Lei non ce l’ha fatta e mi sento in colpa perché sono stato io a insistere perché comprassimi la villetta in Kenya». Nel suo letto, al Mombasa Hospital, Luigi Scassellati, 72 anni, «sa» che sua moglie, Maria Laura Satta, un anno più giovane, non è sopravvissuta alla brutale aggressione a colpi di machete di una banda di rapinatori assassini, al loro chalet di Kikimbala, in Kenya. Parla a fatica, per via dei denti. «Non riesco a mangiare cibi solidi e devo limitarmi ai brodini». «Tutto ciò che ricordo è che sabato sera Laura e io abbiamo cenato e poco dopo siamo andati a dormire. Il ricordo successivo ce l’ho in questo ospedale». Pare avvolto nella nebbia della memoria, immerso in una oscurità da cui emergono, a tratti, sprazzi di luce. Come quando ricorda la moglie, esanime. «Lei era a terra, in bagno, piena di sangue e non si muoveva. La chiamavo, ma non rispondeva».

La polizia keniota ha fermato e tiene in custodia, non si sa in base a quali elementi, il giardiniere del villino.«Mio padre è stato colpito con violenza alla testa. È stabile, cosciente, fuori pericolo. Ha mangiato e bevuto. Dov’era il guardiano? Me lo chiedo, senza accusare nessuno». Stefano Scassellati è al cancello della villa dei genitori al 138 di via Bergamo a Cremona, grande, candida, un bel giardino, il tetto rifatto. Stefano ha 45 anni, è il secondo figlio di Luigi, abita a Mozzanica, con la moglie e due figli lavora in una impresa edile, è assesore al Commercio in Comune. Stefano e il fratello Roberto, di tre anni maggiore, impiegato come informatico nell’ex azienda paterna, sono attesi alle 23 a Malpensa da un aereo per il Kenya. Non è stato possibile partire prima perché Roberto non possedeva il passaporto. Otto ore di volo per accorrere al capezzale del padre e per riportare in Italia il corpo della madre.

Che cosa sapete?  «Poco. Il consolato ha avvertito mio fratello. La questura si è subito mossa. Il fatto non è molto chiaro. È stata un’aggressione molto violenta. Mio padre è stato colpito alla testa, ha un grosso trauma cranico. Si è salvato per un soffio, perché è svenuto e quelli forse hanno pensato che fosse morto. Poi si sono accaniti su mia madre. Mi chiedo dove fosse il guardiano. Sembra che ci siano dei sospetti su di lui, ma non voglio incolpare nessuno».

Quanti guardiani ci sono? «Kikambala è un piccolo centro. Uno per ogni villino». 

Da quanto tempo i suoi genitori soggiornavano in Kenya?  «Da quindici anni. Ci andavano quando faceva troppo caldo o troppo freddo. Passavao sei mesi là e sei mesi in Italia, a trimestri alternati. Erano partiti l’11 luglio. Sarebbero rientrati a settembre».

Non avevano mai colto segnali di pericolo?  «Mai. Il posto è considerato tranquillo, sicuro, assolutamente. Non è mai successo niente e ora mia madre è all’obitorio di Mombasa». Già, perché nel paradiso dove era vietato tenere armi personali e persino i vigilantes giravano solo coi bastoni hanno conosciuto la violenza più spietata».