Comune citato per mobbing da una dipendente scontenta: "Sindaco, voglio 200mila euro"

Maria Grazia Salvi, presidente del Movimento del malato, da anni in lotta con il comune di Crema di Pier Giorgio Ruggeri

Maria Grazia Salvi nell’ufficio-magazzino

Maria Grazia Salvi nell’ufficio-magazzino

Crema (Cremona), 19 novembre 2015 - «Voglio 200mila euro da questo Comune. E mi candido a sindaco per le prossime elezioni». Lo dice una arrabbiatissima Maria Grazia Salvi, presidente del Movimento del malato, da anni in lotta con il comune di Crema, della quale è dipendente, per una serie di sgarberie e presunte mancanze, tanto da far pensare al mobbing e far ingaggiare alla donna una durissima battaglia con il suo datore di lavoro. La vicenda Salvi ha origini antiche. La donna, affetta da psoriasi, necessita di cure particolari e deve seguire severe prescrizioni per non aggravare le sue condizioni. Ha una serie di allergie e di sensibilizzazioni che non le permette di lavorare come tutti gli altri dipendenti e questo, secondo lei, ha creato moltissimi malumori e incomprensioni. Per esempio, ieri nel pomeriggio, nel bel mezzo di una conferenza stampa, tutti i presenti hanno sentito alcune urla. Era lei che si lamentava con il capo del personale in quanto, a suo dire, la centralinista non le parlava: quando lei la chiamava, questa riagganciava. È solo uno dei tanti episodi che comunque hanno fatto da tempo traboccare la misura. Ma a far decidere per il ricorso al giudice del lavoro è stato il suo penultimo trasferimento: «Sono tornata dopo quattro mesi e mi hanno cambiato ufficio. Ho trovato scatoloni nel corridoio e nessun lavoro da svolgere. È una situazione che va avanti da dieci anni, così ho denunciato il Comune per mobbing».

È più chiaro l’avvocato Alberto Scherma di Bergamo, che provvede alla causa: «La mia assistita è stata trasferita in un magazzino. La signora Salvi appartiene alle categorie protette e deve lavorare in un certo ambiente che non danneggia la sua già incerta salute. Infine, anche a livello civile siamo intervenuti. La signora si è rifiutata di andare a lavorare nel magazzino (che è a Santa Maria, ndr) e per questo ha subìto una sospensione di 20 giorni. Ci siamo appellati al giudice civile. Adesso chiediamo i danni, per 200mila euro». C’è da dire che gli episodi evidenziati nel ricorso al giudice sono una dozzina, come sono parecchi i richiami che la Salvi ha ricevuto. Ma se la situazione è così incancrenita e il Comune ritiene che vi siano gli estremi per il licenziamento, perché non lo si esegue? La risposta arriva dal codice civile: il licenziamento deve essere firmato da un dirigente che se ne assume la responsabilità. Qualora lo stesso venga impugnato e un giudice desse ragione al dipendente, reintegrandolo, il dirigente autore del licenziamento potrebbe essere a sua volta ritenuto responsabile e licenziato. Quindi la dipendente resta dov’è, chiede 200mila euro e ora mira anche alla poltrona di sindaco.