Crema, 24 gennaio 2014 - Operazione della Procura di Caltanissetta mette dietro le sbarre sei persone, accusate a vario titolo di associazione a delinquere di stampo mafioso, estorsione, danneggiamento aggravato, porto illegale in luogo pubblico e detenzione illegale di armi, porto illegale in luogo pubblico di ordigno esplosivo. Una di queste persone è stata arrestata nella notte a Crema, in una villa di via Costa, nel quartiere di Ombriano, dove vive con la famiglia. Sulle modalità che hanno portato all’arresto di Salvatore Blanco, 49 anni, nativo di Niscemi - accusato di far parte della cosca Madonia e di aver rifondato il clan, insieme agli altri, dopo l’arresto, avvenuto nel febbraio scorso, del capo storico, Giancarlo Giugno - la polizia di Cremona, che è andata a prelevarlo alle tre di notte, mantiene il più stretto riserbo. È un’importante operazione antimafia, ci sono tanti artigiani e piccoli imprenditori taglieggiati nel corso del 2013 che attendono giustizia.

Insieme a Salvatore Blanco sono stati arrestati, in Sicilia, Alessandro Barberi di 61 anni, Alberto Musto di 27, Luciano Albanelli di 35, Fabrizio Rizzo di 40 e Alessandro Ficicchia di 36. Tutti attendono di parlare con il giudice, questa mattina. Con questo blitz la polizia ritiene di aver decapitato il vertice mafioso che imperava nella provincia di Caltanissetta, dove Alessandro Barbieri, consuocero e braccio destro di Madonia, fuori di galera dal giugno del 2011, aveva preso il comando. E proprio lui, secondo le indagini, avrebbe contribuito a rigenerare il clan, dopo gli arresti di febbraio (di qui il nome dell’operazione: Fenice, cioè che si rigenera dalle proprie ceneri), distribuendo i ruoli e i compiti. Musto reclutava adepti nella consorteria tra i volti già noti, come Alessandro Ficicchia, storico appartenente a Cosa Nostra niscemese, e altri meno conosciuti, come il marmista Luciano Albanelli. Per nulla sfumato il ruolo di Salvatore Blanco, conosciuto come Turi Paletta, sebbene trasferitosi a Crema, il quale ha continuato a far parte attiva della «famiglia» tornando a Niscemi periodicamente per estorcere soldi ai commerciali locali. Per costringere i commercianti a pagare, si è registrata un’escalation di atti intimidatori, anche attraverso l’uso di armi e ordigni esplosivi. E proprio così il clan si è perso, perché l’incendio dell’auto di un commerciante niscemese che aveva resistito ha convinto la vittima a testimoniare davanti agli organi inquirenti, abbattendo il muro di omertà. Da lì gli arresti.