De Gregori un po’ Dylan e un po’ no

L'Alcatraz e l’Atlantico di Roma sono gli unici locali di un calendario prettamente teatrale. “Li ho voluti io in agenda” precisa Francesco. “Per non perdere il contatto con quei club in cui mi sono sempre trovato a mio agio” di ANDREA SPINELLI

Rimmel - Francesco De Gregori

Rimmel - Francesco De Gregori

Milano, 23 marzo 2016 - Quando Francesco De Gregori, parlando di Dylan, gioca a sottrarre, ammettendo di non rappresentare la cultura italiana “quanto lui quella americana”, non dice il vero. Almeno agli occhi (e alle orecchie) di quella generazione ancora capace di mettere il cuore nelle sue canzoni per rimarcarne affinità e divergenze con gli inni del maestro di Duluth sullo sfondo di abbacinanti paesaggi letterari; o anche di sovrapporle, come accade nello show che riporta De Gregori stasera all’Alcatraz sulla scia dei consensi di “Amore e furto”, l’album-tributo a Mr. Tambourine cui dedica tutta la prima parte.

“Dividendo il concerto in due tempi ho voluto mettere il repertorio di Dylan dentro una capsula, regalandogli un suo nobile isolamento - spiega -Ecco perché lo spettacolo cambia repertorio ogni sera ma il primo tempo rimane sempre lo stesso”. Si tratta di otto ballate eseguite tutte d’un fiato, con in testa gli undici minuti di “Desolation Row”, “una bella scommessa visto che di solito si comincia con canzoni famose…”.

Di gemme dylaniane “Amore e furto” ne contiene in realtà undici, ma per non togliere ritmo all’esibizione Francesco evita cose come “Una serie di sogni” (“Series of dreams”) e “Dignità” (“Dignity”) “entrambe prodotte da David Lanois e quindi caratterizzate da un grande lavoro di studio più adatto all’album che al live” come pure “Tweedle Dum & Tweedle Dee”, per il suo stretto legame con la cultura americana “che la rende un po’ meno universale delle altre”.

Esemplare il passaggio dalle liriche tradotte di Dylan allo scartamento ridotto della nostra quotidianità. “Quando hai uno sguardo alto e puro come il suo, dici cose che continuano a coincidere con la realtà. Anche Dante, nella Divina Commedia, toccava principi universali, ma la Storia gli galleggiava attorno”. E a proposito del lavoro sui testi spiega: “Nicola Gardini nel suo saggio Tradurre è un bacio dice che davanti al verso scritto non ci sono regole, ma il traduttore deve buttarsi, per restituire al lettore o all’ascoltatore, il calore e le idee che stanno dietro alle parole. Così è stato nel mio caso davanti al monolite Bob: senza l’amore, infatti, non ci sarebbe stato nemmeno il furto”.

L'Alcatraz e l’Atlantico di Roma (da cui il tour ha preso il via una ventina di giorni fa) sono gli unici locali di un calendario prettamente teatrale. “Li ho voluti io in agenda” precisa Francesco. “Per non perdere il contatto con quei club in cui mi sono sempre trovato a mio agio”. Nella seconda parte della maratona l’autotreno carico di sale di “Adelante, adelante!” porta alle hit di una vita, ma anche canzoni poco frequentate dagli ultimi tour come “A Pà”. “Fu Dalla a chiedermi di tornare a cantare quel pezzo su Pasolini nel nostro ultimo giro di concerti a due” ricorda De Gregori. “Pur salvaguardando i classici, stavolta volevo puntare su pezzi che suono raramente per sorprendermi e sorprendere chi ascolta; canzoni che le radio non hanno passato o che, magari, si sono dovute accontentare di rimanere in secondo piano rispetto ad altre”. Tutto finisce nell’abbraccio di “Fiorellino #12&35”, ambiziosa sovrapposizione di “Buonanotte fiorellino” e la sempiterna “Rainy day women #12&35”. Come dire, da Dylan a Dylan.

Questa sera all’Alcatraz, via Valtellina 25, ore 21