Turate, assalto al portavalori: Dinardi incastrato da uno scontrino

L'indagine è partita da una ricarica telefonica persa dai rapinatori davanti all’ingresso del capannone di Origgio usato per nascondere i mezzi del blitz sulla A9

L'assalto al portavalori sulla A9

L'assalto al portavalori sulla A9

Turate (Como), 27 marzo 2015 - E' partito tutto dallo scontrino di una ricarica telefonica, perso dai rapinatori davanti all’ingresso del capannone di Origgio utilizzato per nascondere i mezzi usati per il colpo in autostrada dell’8 aprile 2013. Lo avevano trovato gli inquirenti della Squadra Mobile di Como pochi giorni dopo l’assalto da dieci milioni di euro ai blindati della Battistolli.

Ieri, davanti al Tribunale Collegiale di Como, si è aperto il processo a carico di Giuseppe Dinardi, 51 anni, origini pugliesi e residenza a Cologno Monzese, rimasto l’unico imputato dopo la condanna a 20 anni con rito abbreviato di Antonio Agresti, 43 anni di Andria, ritenuto l’altro organizzatore del colpo. Un’utenza, quella riportata su quello scontrino da 5 euro del 2 aprile, rilasciato nell’area di servizio autostradale di Zola Pedrosa, direzione Nord, riconducibile a un numero che aveva una intestazione fittizia, ma comunque piena di informazioni utili: era infatti stato acquistato in blocco con altri tre, linee sequenziali attivate il 27 febbraio, e utilizzate solo per organizzare la rapina. Si chiamano «telefoni citofono», perché non hanno – o non dovrebbero avere – alcun contatto con utenze di persone reali, per evitare di essere agganciati a un contesto riconoscibile. In realtà, nella gestione di quelle utenze, qualche sbavatura era avvenuta.

La prima è che in quella stessa sequenza, due numeri prima, compare un telefono che Dinardi utilizzava esclusivamente per chiamare una donna con cui aveva una relazione in quel periodo. L’altra è che uno di quei telefoni, pur con una diversa sim card, qualche tempo dopo venne utilizzato da Massimiliano Milano, un collaboratore di Dinardi ma escluso dalla rapina, diventato poi uno dei principali testimoni, fondamentale per dare un input concreto alle indagini.

Dal suo interrogatorio, avvenuto a giugno 2013 a Firenze, dove Milano era fuggito dopo uno scontro pesante con Dinardi, erano emerse informazioni puntualmente riscontrate, ma anche nomi precisi. La ricostruzione degli elementi man mano raccolti per arrivare ai nomi dei due unici accusati di quel colpo, è stata spiegata ieri dal primo testimone chiamato in aula, l’ispettore della Squadra Mobile di Como Fernando Capobianco, che ha coordinato le indagini durate mesi. Fino al gennaio 2014, quando Agresti e Dinardi furono raggiunti da un’ordinanza di custodia cautelare in carcere. Da quello scontrino trovato a Origgio, sono state ricostruite le celle agganciate dai telefoni fantasma, spesso concentrate nella zona di Pioltello, dove aveva sede la società della moglie di Dinardi, un parcheggio privato. Ma la notte del 7 aprile, poche ore prima dell’assalto, quelle utenze si spengono definitivamente. Solo due vengono accese, ma non utilizzate, il giorno successivo: una aggancia una cella di Vignate, vicino a Pioltello, la seconda è a Faenza nel primo pomeriggio, probabilmente diretta in Puglia.