Giovedì 18 Aprile 2024

Immigrazione, la Svizzera ci ripensa: presto un referendum per riaprire i confini?

Buone notizie per i frontalieri: un comitato ha intenzione di raccogliere le 100mila firme necessarie per indire un nuovo referendum che annulli la reintroduzione dei contingenti

LA PROPOSTA A un anno dal voto contro l’immigrazione  di massa un comitato cerca di raccogliere centomila firme

LA PROPOSTA A un anno dal voto contro l’immigrazione di massa un comitato cerca di raccogliere centomila firme

Como, 3 dicembre 2014 - A nemmeno un anno dal clamoroso voto contro l’immigrazione di massa la Svizzera sta pensando di fare marcia indietro, ancora una volta attraverso un referendum che annulli la reintroduzione dei contingenti. Il comitato promotore si è costituito proprio in questi giorni ed è composto da trecento economisti e intellettuali che avranno tempo fino al 2 giugno 2016 per raccogliere le 100mila firme necessarie, secondo la legge federale, per chiamare di nuovo gli elettori alle urne.

Impresa difficile ma non disperata per i promotori del movimento «Fuori dal vicolo cieco», come hanno deciso di ribattezzarsi, che più che la condizione dei frontalieri e degli altri immigrati ha a cuore il futuro degli svizzeri che rischiano di ritrovarsi completamente isolati nel cuore dell’UE. Mesi di trattative e un intenso lavoro diplomatico non hanno portato a nessun risultato concreto. Se la Svizzera deciderà di rivedere la propria posizione in merito a quella parte del trattato di Schengen che prevede la libertà di movimento delle persone e dei lavoratori, dovrà ridiscutere anche gli accordi sulla libera circolazione delle merci e dei capitali. Uno tsunami per la Confederazione che negli ultimi anni ha strutturato la propria economia proprio sul fatto di essere geograficamente nel cuore dell’Unione Europea, senza farne parte.

Grazie a una burocrazia snella e una politica fiscale favorevole la Svizzera negli ultimi vent’anni si è affermata come una delle piazze più importanti per la finanza internazionale e come il terminale del traffico delle merci, specie i beni di lusso, verso gli Stati Uniti e l’Estremo Oriente. Un Paese dove l’economia continua a crescere nonostante la crisi e dove aziende e servizi rischierebbero di fermarsi senza l’apporto della manodopera d’oltreconfine. A rischio non ci sono solo i posti di lavoro dei frontalieri italiani, oltre 68mila nel solo Canton Ticino, ma degli operai francesi e dei tecnici e i manager tedeschi, in molti casi alla guida delle multinazionali elvetiche. Non è un caso che tra i più strenui oppositori della Lega dei Ticinesi e dell’Udc, promotori del referendum anti-immigrati del 9 febbraio scorso, ci furono proprio gli industriali elvetici. A dieci mesi di distanza e con il rischio di dazi sulle esportazioni e nuove sanzioni da parte dell’UE c’è da scommettere che non tarderanno a mobilitarsi.