Cabiate, 4 gennaio 2013 - “The Robin Hood Project” è il suo ultimo lavoro, ed è scaricabile gratis sul sito www.mattmanent.net. E’ il primo volume di una saga che porta la firma di Matt Manent: un progetto musicale con il quale il rapper dimostra per l’ennesima volta la sua intraprendenza e la sua capacità di fare. In questi anni Mattia Colombo (questo il suo vero nome), ha inciso dischi, viaggiato in Europa con mezzi di fortuna, cercato punti di vista sempre diversi per raccontare il mondo a cui appartiene. Un ritmo hip hop per puntare il dito contro un contesto sociale che respinge i giovani, uno tra i tanti temi affrontati con la sua musica. Il singolo si intitola “In rotta per la libertà”, ed è solo l’inizio di un percorso lungo il quale Matt andrà alla ricerca di altre sonorità, portando il rap dove non si immagine di incontrarlo per dimostrare quanto possa essere flessibile e duttile.


Da dove nasce l’idea di quest’ultimo disco, perché hai scelto di affrontare questi temi?
Con l'avvio di The Robin Hood Project, che sarà una vera e propria saga strutturata in volumi, ho voluto aprire un nuovo capitolo della mia carriera musicale. In primo luogo scegliendo sonorità più futuristiche, poi improntando i miei testi su una particolare tecnica di rap chiamata “extrabeat”, cioè ad alta velocità. I temi che affronto sono invece nettamente contemporanei, dalla reazione ai tempi di crisi di “In rotta per la libertà”, alla determinazione necessaria per essere artisti al giorno d’oggi di “Tocco d'oro”, passando per pezzi più adrenalinici come “Dai gas” o sentimentali come “Margini strappati”. Non sono un rapper da ascolto facile e spesso pago il prezzo della mia complessità, ma preferisco di gran lunga affrontare temi di rilievo anziché affondare nel mare del qualunquismo o del sensazionalismo in cui purtroppo molti miei colleghi sguazzano. Io preferisco essere un cronista della quotidianità. 

Tra le esperienze che hai fatto in questi ultimi anni, tra cui il viaggio del 2009, quali sono state le più significative?
Battere un viaggio da settemila chilometri e la relativa narrazione musicale contenuta nel mio “On the road” non è cosa semplice! Gli ultimi tre anni mi hanno però posto tipi di sfide totalmente differenti, legate principalmente a un percorso di vita da emigrante di cui ancora fatico a comprendere quanto il fine potrà rivelarsi lieto o meno. Se l'avventura del 2009 arrivava a conclusione di un periodo passato in Germania, in seguito ho vissuto anche in Inghilterra e Svizzera francese. In Italia sono tornato nello spazio di alcuni intervalli e questo mio vivere a cavallo di più realtà è sicuramente stato significativo nel darmi misura del positivo e del negativo di ogni cultura con cui sono venuto a contatto. Da italiano in altri contesti ho avuto sia da apprendere che da insegnare, c'è da dire. Il punto è che, se da un lato la mia italianità è spesso stata apprezzata all'estero, in Italia il tesoro di conoscenze di cui ho fatto bottino oltre i confini non sembra al contrario fare granché gola. La nostra società è vittima di una mentalità statica, mentre basterebbe a chiunque passare un trimestre in Gran Bretagna per capire il significato della parola dinamicità.

A chi ti rivolgi in particolare, e quale tuo messaggio vorresti che rimanesse in particolare?
A differenza di altri rapper che puntano agli adolescenti in quanto ultima speranza d'introiti per show-business, io in primis voglio parlare ai miei coetanei. Un pezzo come "Senza processo" credo lo esemplifichi al meglio. Che poi i miei testi possano essere apprezzati anche da adolescenti più maturi della media o, comunque, anche da padri e madri di famiglia è un qualcosa che mi fa molto piacere e che testimonia quanto la capacità di recepire certi messaggi sia più un fatto mentale che anagrafico. In quanto a un messaggio, essendo pluritematico nei miei pezzi non ne ho uno in particolare: ne ho una gamma. La maniera in cui però mi piacerebbe essere visto è quella del "rapper della porta accanto": non uno sballone vestito largo che biascica oscenità, bensì una persona comune capace di tradurre in rima la propria realtà, con la concretezza di chi si alza e va a lavorare e quel qualcosa di particolare che viene espresso tramite una forma d'arte che in tutto e per tutto è poesia contemporanea.  

Hai scelto di regalare il tuo brano, con il download gratuito. C’è un motivo particolare?
L'intero lavoro è in download gratuito sul mio sito. Ormai la tecnologia ha preso il sopravvento, quindi per un musicista indipendente come me il non dovere più spendere per stampare cd o vinili è un gran vantaggio. Il risvolto della medaglia è però che le possibilità di ricavi (o più realisticamente di rientri delle spese sostenute per registrazione, video eccetera) sono ai minimi termini. Mi ricordo un concerto di Fabri Fibra in cui vidi il suo chiosco del merchandising preso d'assalto per le magliette, ma pressoché tutti i cd restarono dove li avevano messi. Questo la dice lunga su come ci si debba muovere al giorno d'oggi.

Quali sono le soddisfazioni e le difficoltà nel muoversi nell’ambiente musicale da autodidatti?
Essere fautore del mio destino è un qualcosa che mi piace. Sono il promoter di me stesso, nonché spesso e volentieri colui che studia l'idea per il video, come nel caso di "In rotta per la libertà". So che sarebbe molto più facile se avessi un buon team al mio fianco o il supporto di una realtà discografica, ma quando si arriva da qualche parte solo con le proprie forze le soddisfazioni valgono il doppio. In quanto all'essere autodidatta, per il rap è così che funziona: è un viaggio in solitaria per chiunque voglia cimentarsi. Ognuno può trovare i propri punti di riferimento, ma non vi sono corsi né insegnanti. Volere o volare.

Progetti?

"The Robin Hood Project" è una saga e ciò che è uscito ora non è che il primo volume. Nei prossimi sonderò altre sonorità con l'intenzione di portare il rap tanto laddove i più non immaginerebbero, quanto laddove i puristi del genere non vorrebbero. L'obiettivo è mostrare quanto duttile sia questa arte, e possibilmente anche quanto nobile.

Artisticamente, a chi ti senti molto vicino?
In uno dei miei nuovi pezzi dico "Do alla musica ciò che all'arte dà Banksy". Ecco, è a lui che mi sento vicino: un artista che col suo intervento ha trasformato muri anonimi in significative opere d'arte, aprendo un orizzonte mentale del tutto nuovo agli spettatori.

Il territorio come ti ha accolto in questi anni?
Se è vero che un buon artista non è mai interamente soddisfatto di sé, credo che sia parimenti vero che nessun artista sia mai completamente soddisfatto dei riscontri che ottiene. Per quanto mi riguarda, dico che la mia strada è ancora molto lunga. Quel che mi auguro è di avere ispirazione, energie e risorse a sufficienza per continuare a lungo. Nel mentre vado a lavorare, perché specie coi tempi che corrono sarei un pazzo a pensare che un bel giorno sarà la musica a salvarmi. Anche se me lo auguro.