Delitto di Gera Lario. "Mio figlio non ha ucciso Alfredo", la madre scagiona l’unico imputato

«Mio figlio non è un violento. Qualche giorno prima di Natale, aveva avuto una discussione con Alfredo Sandrini, si era picchiato ma non aveva rancore. Anzi, diceva che aveva ragione lui». E' la testimonianza della madre di Franco Cerfoglio, imputato davanti alla Corte d’Assise di Como dell’omicidio di Sandrini di Paola Pioppi

Omicidio di Gera Lario (Cusa)

Omicidio di Gera Lario (Cusa)

Gera Lario, 16 ottobre 2014 - «Mio figlio non è un violento. Qualche giorno prima di Natale, aveva avuto una discussione con Alfredo Sandrini, si era picchiato ma non aveva rancore. Anzi, diceva che aveva ragione lui». La madre di Franco Cerfoglio, imputato davanti alla Corte d’Assise di Como dell’omicidio di Sandrini, avvenuto lo scorso 3 gennaio, ha testimoniato ieri. Lasciando l’aula, si è avvicinata alla gabbia, e lo ha salutato: «Ciao Franchino» gli ha detto, facendogli una carezza sulla guancia, rigata dalle lacrime. Si somigliano madre e figlio, soprattutto nello sguardo. Vivono assieme, solo loro due da quando il padre è scomparso, tre anni fa, lasciandosi alle spalle un piccola armeria. «Casa nostra era pieno di armi, di mio marito e di mio suocero – ha spiegato la donna -. Le munizioni erano ovunque, ne ho trovate anche nella macchine da cucire. Ogni tanto aprivo qualche armadio e lo richiudevo, soprattutto quello in cui erano conservati gli abiti e gli oggetti di mio marito». I carabinieri di Como, durante la perquisizione svolta a casa di Cerfoglio, trovano diverse munizioni, ma nessuna identica a quelle utilizzate per l’omicidio, calibro 22 ed esplose quasi certamente da un fucile.

«Franco mi diceva di non tornare, che c’era confusione – ha raccontato alla Corte, presieduta da Vittorio Anghileri, giudice a latere Carlo Cecchetti -. Non conoscevo Sandrini, sapevo solo che era il compagno di bevute di mio figlio, ne sentivo parlare». Più volte, durante la testimonianza della madre, Cerfoglio ha pianto, come ogni volta che in aula è sfilato qualcuno che negli anni ha cercato di aiutarlo, e che ha raccontato le sue difficoltà di condurre un’esistenza regolare. Ieri sono stati ascoltati anche i due medici che hanno soccorso Sandrini dopo il ferimento. Raggiunto alla schiena dai colpi di arma da fuoco, mentre aveva appena imboccato al pista ciclabile di Gera Lario, diretto verso nord, aveva pedalato per diverse centinaia id metri, fino a fermarsi per l’imponente perdita di sangue, stramazzando poco più avanti. «Mi ha detto che gli avevano sparato» ha dichiarato uno dei primi soccorritori, che lo ha raccolto e trasportato in ospedale. Più dettagliato il medico dell’ospedale di Gravedona, dove avevano tentato invano di salvarlo: «Mi aveva detto di aver sentito come dei petardi esplodergli alle spalle – ha dichiarato il testimone – di essersi spaventato e di aver iniziato a scappare. Si trattava di colpi di piccolo calibro, non provocano dolore immediato». Ma la perdita di sangue, da quel momento, è stata inarrestabile, soprattutto in un uomo che stava pedalando con tutta la forza che gli era rimasta. Prossima udienza mercoledì 22 ottiobre.