Delitto di Gera Lario, l'imputato in lacrime: «Non sono stato io»

Via al processo, Franco Cerfoglio si difende dall’accusa di omicidio volontario e cerca di smentire i testimoni

Omicidio di Gera Lario (Cusa)

Omicidio di Gera Lario (Cusa)

Gera Lario, 14 ottobre 2014 - «Non sono stato io a uccidere Sandrini». Franco Cerfoglio quasi grida in aula, dopo essere entrato più volte in contraddizione sui suoi spostamenti della sera del 3 gennaio scorso, quando sulla pista ciclabile di Gera Lario, fu ucciso Alfredo Sandrini, quarantenne di Sorico, raggiunto alla schiena da almeno tre proiettili di arma da fuoco. Completamente vestito di bianco, attento a ogni parola pronunciata dai testimoni, Cerfoglio – pescatore di 38 anni di Domaso - è rimasto tutto il giorno nell’aula di Corte d’Assise del Tribunale di Como, dove è iniziato ieri il processo per omicidio volontario a suo carico.

Sempre in piedi, attaccato alle sbarre, non ha saputo trattenere qualche lacrima, soprattutto quando sentiva parlare della sua vita disordinata, dei tentativi fatti da alcuni amici, mai andati a buon fine, di tenerlo lontano dai bar o dai guai. Si è difeso, cercando di dare una lettura differente della ricostruzione fatta dal pubblico ministero Mariano Fadda, in merito ai suoi spostamenti di quella sera e ai rapporti tesi con la vittima, legati a un debito di droga. Mille euro secondo alcuni testimoni, 120 secondo Cerfoglio, mentre assicurava alla Corte che quei soldi lui voleva consegnarli, ma che Sandrini non si è mai presentato all’appuntamento. «Ci siamo telefonati, ma lui non arrivava». Sono 25 i contatti tra i due prima dell’omicidio, fino all’ultimo sms alle 21.48, un attimo prima dell’agguato, il cui orario è stato ricostruito grazie a un passaggio di Sandrini in bicicletta sotto alle telecamere. Poi il silenzio.

«Sono andato a pescare – ha detto Cerfoglio – ho pensato che aveva cambiato idea e non sarebbe venuto all’appuntamento». L’imputato ha cercato di smentire anche i testimoni che hanno raccontato delle botte che aveva preso da Sandrini due settimane prima, quando era stato visto in giro per i bar dell’Alto Lago con gli occhi pesti, malamente nascosti dalla visiera di un cappellino. «La gente parla senza sapere le cose – ha detto – gli occhi neri mi erano venuti dopo essere stato colpito da un ramo sulla fronte, mentre lo stavo tagliando». Un altro testimone riferisce di una scena in cui Sandrini spintona Cerfoglio fuori da un bar: «Avevamo bevuto e stavamo scherzando», sostiene l’imputato. Più volte, nel corso della sua testimonianza, Cerfoglio dice di non averlo ucciso, nega di essere stato picchiato per quei soldi che gli doveva da un mese, minimizza la cifra: «Non avevo problemi con lui per i soldi – dice – non ne ho mai avuti. Ogni volta che lo vedevo gli davo qualcosa. Se ci siamo messi le mani addosso, è stato solo una volta, quando eravamo ubriachi tutti e due. Poi aveva cercato di aiutarmi a rimettermi in piedi, ma non si accorgeva che mi stava tenendo un piede in faccia e non potevo alzarmi…». Il processo prosegue domani.