Velo imposto a cinghiate alla figlia: condannato il padre

Una condanna a tre mesi di carcere, con pena sospesa, per aver imposto alla figlia come vestirsi, chi frequentare, quando e perché uscire di casa. Condotte che la Procura di Como aveva configurato come “abuso dei mezzi di correzione o disciplina” di Paola Pioppi

Tribunale (foto d'archivio)

Tribunale (foto d'archivio)

Como, 8 gennaio 2015 - Una condanna a tre mesi di carcere, con pena sospesa, per aver imposto alla figlia come vestirsi, chi frequentare, quando e perché uscire di casa. Condotte che la Procura di Como aveva configurato come “abuso dei mezzi di correzione o disciplina”, che ha portato ieri il giudice monocratico di Como, a stabilire l’effettiva responsabilità dell’uomo – un marocchino di 48 anni residente nella Bassa Comasca – nei confronti dell’unica figlia. Una ragazzina che all’epoca dei fatti, nel 2010, aveva quattordici anni, cresciuta in Italia, ma a cui era impedito di avere amicizie al di fuori della cerchia familiare, composta dai due genitori e da due fratelli maschi. Il padre, per impedirle di vestirsi come voleva, anche in casa dove le era imposto il velo, era arrivato più volte a picchiarla, anche con l’uso di una cinghia.

A far venire alla luce questa vicenda, era stato un poliziotto di Varese, che un giorno aveva notato la ragazzina girare per strada in orario di lezione scolastica, e l’aveva avvicinata per assicurarsi che fosse tutto a posto. Lei aveva raccontato cosa accadeva in casa sua, si era messa a piangere quando aveva mostrato all’agente il velo nascosto nella borsa, che si sarebbe dovuta rimettere tornando dal padre. Gli inquirenti, mentre accertavano i fatti raccontati dalla quattordicenne, avevano ottenuto l’allontanamento da casa della ragazzina, messa in una struttura di accoglienza protetta per donne, dove si trova tuttora, a quasi quattro anni dai fatti che hanno portato suo padre in Tribunale. Durante l’udienza precedente, aveva testimoniato la ragazza, che si era persino sentita male per l’ansia provocata da quei ricordi.

In famiglia, nessuno aveva mai preso le sue difese, a partire dalla madre, convinta della correttezza delle imposizioni che il marito reiterava all’unica figlia. Vietati i jeans e i vestiti ritenuti troppo attillati, ma anche le frequentazioni delle amiche, le uscite da casa non accompagnata. Soprattutto, il velo doveva essere portato sempre, anche in casa, dove vivevano altri uomini, per quanto suoi familiari. Ogni volta che la ragazza cercava di sottrarsi e di far valere le sue ragioni, veniva picchiata. Così quella mattina di quattro anni fa, arrivata al limite della sopportazione, era riuscita a non andare a scuola, vagando in cerca di aiuto.