La ’ndrangheta ormai ci ha invaso. Abbraccio mortale con le imprese

L’analisi sul territorio di Alessandra Dolci, magistrato antimafia di Paola Pioppi

ESPERTE Il pm Alessandra Dolci e il capo della Dda Ilda Boccassini (a destra)

ESPERTE Il pm Alessandra Dolci e il capo della Dda Ilda Boccassini (a destra)

Como, 29 dicembre 2014 - Oltre 400 episodi intimidatori avvenuti sul territorio di Como tra 2008 e 2014. Sono stati raccolti dall’Osservatorio creato dalla Dda di Milano per monitorare il fenomeno, e tutti sono accadimenti potenzialmente riconducibili a una matrice criminale associazionistica.

Per quanto riguarda il Comasco, relativamente alle minacce più frequenti, in 270 casi si parla di incendi dolosi, seguiti da 43 esplosioni di arma da fuoco. Modalità a cui fanno seguito 19 recapiti di proiettili, 17 danneggiamenti su auto, e 16 minacce telefoniche. In un caso, è stato inoltre segnalata un’uccisione di animale.

Il riferimento più frequente, è a titolari di aziende o imprese economiche, ma in alcuni casi anche professionisti. La casistica venuta alla luce grazie alle denunce, o anche alle semplici segnalazioni delle forze di polizia, in 37 casi è legata alle imprese di movimento terra: 15 bar e locali notturni, 13 edilizia, 12 servizi e 5 del settore rifiuti.

Passa da qui il “capitale sociale” della ‘ndrangheta, come emerso dalle ultime indagini in materia di criminalità organizzata, tra cui la recentissima “Insubria”, che ha individuato tre ulteriori locali – a Cermenate, Fino Mornasco e Calolziocorte – che si aggiungono alle 15 della precedente operazione Infinito. «È la capacità di creare legami con la società civile – spiega Alessandra Dolci, magistrato milanese per anni in forza alla Dda, e ora applicata alle misure di prevenzione – sono legami di reciproco interesse, e coinvolgono forze di polizia, qualche magistrato, medici, liberi professionisti, ma soprattutto imprenditori.

In quest'ultimo caso, è un legame perverso: si parla spesso di infiltrazioni nel tessuto economico, come se fosse una forzatura del male in un contesto che oppone resistenza. Ma questo non è vero: abbiamo decine di esempi di imprenditori che vanno alla ricerca del mafioso con cui relazionarsi».

I motivi sono diversi: la paura per se stessi o i propri familiari, il timore per i beni o le attività economiche.

Ma le indagini hanno anche evidenziato la convenienza di questi rapporti reciproci tra malavita a imprenditoria, dove i titolari di attività produttive ed economiche sono convinti di poter ricavare vantaggi da questo genere di alleanze. Si rivolgono così a chi è notoriamente vicino alla ‘ndrangheta per la riscossione dei crediti, soprattutto quando questa sofferenza economica mette l’azienda a rischio di fallimento.

Tuttavia, il compenso preteso dal contesto criminale, non è solo la percentuale del credito recuperato. L’obiettivo è ben più alto: creare rapporti che possano portare a vantaggi futuri.

Creare un monopolio di imprese riconducibili alla ‘ndrangheta. Un fine per il quale la criminalità, oltre ad accogliere a braccia aperte chi chiede aiuto, cerca anche di imporsi su vasta scala, attraverso le estorsioni nelle tante modalità messe in campo.

Arrivano così gli avvertimenti intimidatori, per creare nell’imprenditore la necessità di ottenere protezione, che sono seguiti a stretto giro dalla proposta concreta di chi si fa avanti per fare da mediatore.

Secondo il sociologo Diego Gambetta, “la mafia è l’industria della protezione privata”. Questa definizione, che corrisponde al binomio estorsione-protezione, secondo Alessandra Dolci, «è la modalità più frequente in Lombardia».