Minacce ai dipendenti per coprire l’incidente nel capannone ‘sbagliato’

Il processo Ghezzi per la morte dell’operaio a Como di Paola Pioppi

ALLA SBARRA Il processo al Tribunale di Como

ALLA SBARRA Il processo al Tribunale di Como

Como, 5 ottobre 2015 -  «Il cantiere di Como non deve saltare fuori, altrimenti devo chiudere la ditta e licenziare tutti». Con queste minacce ai dipendenti, Giuseppe Ghezzi, 53 anni, imprenditore di Rovellasca titolare dell’omonima floricoltura, aveva messo a tacere il vero luogo in cui era avvenuto l’infortunio che aveva portato al decesso di Roberto Albani.

Assoldato in nero, al lavoro sul tetto di un capannone a cinque metri di altezza, privo di ogni misura di sicurezza. L’infortunio era avvenuto all’ex stamperia di Camerlata, in via Cumano a Como il 17 gennaio 2013, ma all’ospedale dove era giunto l’operaio in condizioni drammatiche, era stato comunicato un accadimento ben diverso: che si era fatto male in azienda, a Rovellasca, cadendo da una catasta di legna. Il 16 giugno, dopo sei mesi di cure intensive ma vane, Albani era morto. Ma le indagini dei carabinieri, coordinate dal sostituto procuratore di Como Antonio Nalesso, erano riuscite a ricostruire cosa era realmente accaduto, portando ora a processo Ghezzi assieme al responsabile della sicurezza dell’impresa, Fabrizio Andreutti, 46 anni di Rovello Porro.

A far scattare i dubbi degli inquirenti era stato un dettaglio legato ad alcune dichiarazioni, raccolte casualmente, che non coincidevano con quanto emerso dal contesto lavorativo. In questo modo, si era arrivati a stabilire luogo e circostanze reali dell’infortunio, avvenuto mentre l’uomo stava togliendo fogli di catrame dalla copertura del capannone, assieme ad altri due colleghi: la caduta gli aveva causato un gravissimo trauma facciale, frattura del cranio ed emorragie interne, alle quali non era sopravvissuto.

L’udienza preliminare si è svolta davanti al gup di Como Ferdinando Buatier, che ha rinviato a data da stabilirsi per consentire alle parti di perfezionare un risarcimento ai familiari della vittima. Ghezzi, in qualità di titolare della floricoltura omonima, ma anche di amministratore unico della Ghema srl di Meda, appaltatore dei lavori, è risultato essere datore di lavoro di fatto di Albani, mentre Andreutti figura come responsabile manutenzione giardini e responsabile dell’antinfortunistica della floricoltura Ghezzi: in questi ruoli, rispondono di una serie di omissioni e inosservanze della normativa sulla prevenzione degli infortuni.

Le accuse parlano di mancata adozione di impalcature o ponteggi che potessero evitare i pericoli di caduta, mancanza di parapetto o tavola fermapiede che consentisse di sbarrare il vuoto, e di non aver scelto attrezzature idonee, come la «linea vita»: un meccanismo di protezione collettiva che consente ai lavoratori di ancorare le cinture di sicurezza. Non solo: la Procura accusa Ghezzi anche di aver usato violenza nei confronti dei dipendenti presenti, per costringerli a commettere un reato, in quanto con le loro dichiarazioni non vere, ma allineate a quanto imposto dal datore di lavoro per non perdere il posto, hanno reso false dichiarazioni alla polizia giudiziaria.

di Paola Pioppi