Como, 22 settembre 2014 - Insieme al senso di nostalgia c’è una sola cosa che perseguita gli italiani all’estero: il fisco. La prima cosa di cui non si sente il rimpianto appena si sono imbarcate le valigie sull’aereo è anche quella da cui è più difficile sfuggire. L’Agenzia delle Entrate non molla l’osso facilmente, a meno di non decidere di recidere in maniera netta il cordone ombelicale che collega all’Italia. Pensavano di averla scampata i frontalieri in Canton Ticino, che da quarant’anni in base agli accordi Italo-Svizzeri a patto di risiedere entro i 20 chilometri dal confine, potevano permettersi di pagare le tasse in Svizzera. Il giusto contrappasso, per 62.458 lavoratori (la maggior parte dei quali provenienti dalle province di Como e Varese) per sopportare con il sorriso sulle labbra le levatacce e la disciplina rigidissima delle fabbriche e dei laboratori elvetici, dove tra le tante cose è quasi vietato ammalarsi. La soddisfazione è sempre stata quella di portarsi a casa uno stipendio, al netto delle imposte elvetiche inferiori in media del 15% rispetto a quelle italiane, pari doppio se non al triplo di quello che avrebbero percepito a parità di occupazione al di qua dal confine. Una certezza messa in crisi dalla recente deliberazione dell’Assemblea Nazionale di Berna, l’equivalente del Parlamento italiano, che a larghissima maggioranza (154 favorevoli, 25 contrari e 7 astenuti) ha approvato un documento che impegna il Governo elvetico a negoziare con l’Italia perché i frontalieri siano tassati secondo le aliquote del paese di residenza.
In pratica addio allo status di frontaliere, una doccia gelata per tutti i nostri connazionali che a questo punto dovrebbero riconsiderare seriamente la convenienza di lavorare in Svizzera. A promuovere l’iniziativa la Lega dei Ticinesi, convinta in questo modo di liberarsi dell’«invasione» di lavoratori italiani per posti di lavoro sempre più qualificati, ma a quanto sembra anche il Fisco Tricolore non ha avuto nulla da eccepire. È dai tempi del Governo Monti infatti che si lavora sotto banco per ottenere l’abolizione del segreto bancario nelle ricche banche ticinesi sui conti degli italiani, il contrappasso potrebbero essere proprio i frontalieri. Unica voce contraria quella del sindacato svizzero Unia, al quale sono iscritti migliaia dei nostri lavoratori. Infatti tra i frontalieri c’è già chi pensa di aggirare l’ostacolo trasferendo la propria residenza in Svizzera. Allora addio patria e addio fisco.