La foiba del lago, orrore nell'abisso: "La partigiana Gianna dorme laggiù"

Cernobbio, l’ipotesi: suoi i resti umani ritrovati per caso da due sub

Il recupero (Cusa)

Il recupero (Cusa)

Cernobbio (Como), 21 maggio 2017 - Ci sono storie che non si dimenticano e a volte riaffiorano, come incubi. Per risvegliarli basta poco, una parola o - come in questo caso - due frammenti di un teschio e un femore, recuperati per caso da due sub impegnati in un’immersione. Più di un indizio per i vecchi del lago, che da ieri sono tornati a pensare con orrore all’oscura fama di Villa Pizzo e di quel tratto di costa che settant’anni fa, nell’estate del 1945, si trasformo nella foiba del Lario. All’epoca lo chiamavano semplicemente «l’abisso», perché qui il fondale già a pochi passi da riva precipita a meno di 200 metri. Il luogo ideale per far sparire persone scomode e avversari politici, che in quell’estate in cui a pochi chilometri da qui si arrestò Benito Mussolini, di certo non mancavano.

Il primo a mettere nero su bianco i suoi ricordi di quel periodo è stato Giulio Isola, sindaco emerito di Cernobbio all’epoca giovane militante comunista, che in una ricerca storica realizzata qualche anno fa ricordava come di fronte a Villa del Pizzo, nel punto in cui la provinciale Regina Vecchia correva a picco sul lago c’era un muretto da cui i fascisti prima e i partigiani poi gettavano le loro vittime nell’abisso sottostante. «Da questo punto – ricorda Isola nei suoi scritti – durante gli anni del fascismo, vennero buttati nel lago partigiani e aderenti a organizzazioni contrarie al regime. E con la stessa tecnica dei polsi legati con il filo di ferro, nei giorni della Liberazione finirono nel lago i fascisti chiusi nel carcere di San Donnino, ex camicie nere, persone legate a vario titolo a Mussolini».

Se il colpo alla testa non bastava a finirli a fare il resto ci pensavano i gorghi e le acque fredde del Lario. Sempre qui, come documentò lo storico Roberto Festorazzi, il 23 giugno del 1945, killer del Partito comunista trucidarono e scaraventarono giù dalla scogliera del Pizzo la giovane staffetta partigiana «Gianna», al secolo Giuseppina Tuissi, che aveva osato indagare sull’uccisione del proprio uomo, il Capitano Neri, al secolo Luigi Canali, anche lui si dice gettato nel lago. «Gianna aveva condiviso con Canali molti dei segreti di una comune militanza nelle file della Resistenza – ricorda Festorazzi in diversi suoi scritti tra cui «I veleni di Dongo» - Insieme avevano gestito i trasferimenti del prigioniero Mussolini, e insieme avevano contabilizzato l’oro di Dongo, poi incamerato dal Pci. La Tuissi certamente era anche a conoscenza della verità sulle modalità della fucilazione del Duce, atto cruento al quale partecipò come testimone, ma forse pure come attore protagonista, anche Luigi Canali». Forse quei frammenti restituiti dal lago appartengono proprio alla povera Gianna o, addirittura, a entrambi gli sfortunati amanti. La Scientifica infatti non esclude che i frammenti d’osso possano appartenere a persone diverse. «Niente di più probabile, là sotto c’è un cimitero», scuotono la testa di anziani e non hanno più voglia di parlare.