Migranti, la Svizzera sceglie la linea del rigore: droni, barriere, espulsioni in 12 ore

Chi chiede asilo deposita i suoi beni, tasse più alte a chi trova lavoro

Il centro migranti di Rancate (Cusa)

Il centro migranti di Rancate (Cusa)

Rancate (Svizzera), 20 agosto 2016 - Mentre l’Europa vacilla sotto l’assalto dei migranti c’è un’«isola», nel cuore del Vecchio Continente, i cui confini si sono dimostrati impermeabili a ogni «sbarco». Si tratta della Svizzera, poco più di otto milioni di abitanti di cui due nati altrove, dove da almeno tre anni si studiano contromisure alla potenziale invasione. Dai droni che pattugliano 24 ore su 24 le frontiere al rafforzamento del contingente di guardie di confine, tutto è stato programmato, compreso l’impiego di esercito e riservisti. Inutile negare che nelle ultime settimane a preoccupare è soprattutto la frontiera Sud, quella con l’Italia.  Dopo settimane di respingimenti alla spicciolata, in Svizzera hanno deciso di risolvere, a modo loro, il problema creando a Rancate, una decina di chilometri dopo il confine, il primo Centro unico per migranti del Canton Ticino. Visto da fuori si tratta di un anonimo capannone, ma all’interno da alcuni giorni sono al lavoro i tecnici dell’esercito elvetico e della Protezione civile che stanno creando all’interno camerate e un refettorio, per ospitare i migranti che si presenteranno al confine senza documenti fino a un massimo di dodici ore. 

"Qui dentro finiranno coloro che non sono interessati a fare richiesta di asilo politico – spiega Renato Pizolli, commissario capo e portavoce della polizia cantonale, impegnato per conto dello Stato maggiore dell’immigrazione –. Non si può attraversare la Svizzera senza essere in possesso di documenti, per ovvie ragioni di sicurezza dobbiamo conoscere l’identità di chi entra e chi esce». In burocratese si chiama «riammissione con procedura semplificata» e prevede, in virtù di un accordo con l’Italia, che tutti i profughi in arrivo dal Bel paese senza documenti siano rispediti al mittente. «I migranti arrivano a Chiasso in treno, nascondendosi sui Tilo o gli Eurocity che collegano Milano con Lugano e Bellinzona – prosegue Pizolli –, quando li fermiamo controlliamo i loro documenti e spieghiamo loro che possono presentare richiesta di asilo politico». Un diritto che la Confederazione Elvetica quest’anno ha valutato di estendere a un massimo di 40mila persone, ma che, nella maggior parte dei casi, non raccoglie molti consensi tra chi è in fuga dall’Africa. Colpa della procedura estremamente rigida, che prevede tra l’altro la confisca immediata di tutti i beni sopra i mille franchi di valore, una durata limitata e l’impossibilità di spostarsi poi nel resto d’Europa, visto che la Svizzera non fa parte dell’Ue.  A occuparsi di tutto è la Segreteria di Stato della Migrazione Svizzera, che poi ripartisce i profughi all’interno dei vari Cantoni. I più sfortunati sono finiti addirittura nelle baracche che, negli anni ‘70, erano affittate ai lavoratori italiani. I richiedenti asilo non solo devono trovarsi un lavoro, ma, quando lo trovano, sono tassati più dei cittadini svizzeri: devono ripagare l’aiuto che lo Stato ha fornito loro. Non c’è da stupirsi che tanti preferiscano stare zitti e farsi rimandare in Italia. Ad occuparsi di loro ci pensa lo Stato maggiore cantonale dell’immigrazione, nel magazzino di via La Rossa. Qui finiranno un massimo di 150 persone per non oltre 12 ore, il tempo necessario per prendere loro un’impronta digitale e assegnare un nome, anche di fantasia, non per schedarli ma per sapere «a fini statistici» quante volte si sono presentati al confine. «Qui dentro avranno delle brande fornite dall’esercito su cui potranno dormire – conclude Adamo Willimann, tecnico dell’amministrazione ticinese – ci sarà una mensa dove potranno ricevere un pasto caldo e potranno fare una doccia. È previsto anche un presidio medico, mentre la sicurezza sarà garantita da un’agenzia privata, sotto la supervisione della Polizia cantonale». Decisamente non è un albergo. «Ma sempre meglio che farli dormire in strada». Ogni riferimento all’Italia è puramente voluto.