Omicidio Molteni, la difesa: "Indagini a senso unico"

Per l’avvocato di Brivio trascurate piste alternative

Il luogo dell'omicidio

Il luogo dell'omicidio

Carugo, 24 novembre 2017 - Una sequenza di possibilità alternative nell’ipotizzare il movente che potrebbe aver causato la morte di Alfio Molteni. Sono state tratteggiate ieri mattina dalla difesa di Alberto Brivio, il fiscalista cinquantenne di Inverigo accusato di essere il mandante dell’agguato che si era concluso con la morte dell’architetto. Davanti alla Corte d’Assise di Como, dove risponde di omicidio volontario e della serie di atti intimidatori subiti dalla vittima nell’anno precedente, è imputato anche Vincenzo Scovazzo, 60 anni di Cesano Maderno, ritenuto invece l’esecutore materiale di quell’aggressione che, secondo le accuse, avrebbe dovuto ferirlo alle gambe, salvo poi recidere l’arteria femorale con uno dei due proiettili esplosi contro il professionista sull’uscio di casa.

Nel lungo controesame del colonnello Paolo Vincenzoni, comandante del Reparto Crimini Violenti del Ros di Roma, il legale di Brivio, Aldo Turconi, ha chiesto conto di una serie di approfondimenti svolti durante le indagini, o scartati perché ritenuti non pertinenti. Tra questi, una mail giunta all’ex capo della Procura di Como, che suggeriva di approfondire eventuali legami della vittima con l’ambiente della criminalità organizzata e della ‘ndrangheta.

Il testimone ha spiegato come le indagini, coordinate dal sostituto procuratore Pasquale Addesso, si erano invece man mano concentrate attorno alle criticità più evidenti che emergevano dalla vita di Molteni, e in particolare la corrispondenza tra l’evolvere della causa civile di separazione in Tribunale e la presenza di atti intimidatori subiti dalla vittima. Causa che coinvolgeva la moglie di Molteni, Daniela Rho, imputata a sua volta di essere mandante di tutta la scia di attentati.

Una corrispondenza che non sarebbe stata rilevata nell’ambito dell’altro contenzioso che vedeva coinvolto l’architetto, in questo caso con Armando Rho, padre di Daniela e proprietario dell’azienda di mobili per la quale aveva lavorato a lungo. La difesa ha insistito su questa linea, chiedendo conto di accertamenti non svolti in una serie di direzioni alternative per spiegare l’omicidio. Domande alle quali il teste ha man mano risposto spiegando che i riscontri sono stati cercati sulla base dell’ipotesi investigativa prevalente, che aveva escluso altre possibilità, comunque verificate soprattutto nell’immediatezza del delitto.