Strage di Erba, un caso da riaprire: "Nessuna Procura se ne fa carico"

Il legale di Rosa e Olindo: richiesta palleggiata da un anno da Como e Brescia di GABRIELE MORONI

Olindo Romano e Rosa Bazzi

Olindo Romano e Rosa Bazzi

Poco prima delle 20.30 dell’11 dicembre 2006 i vigili del fuoco vengono chiamati per un incendio in un appartamento in un caseggiato di ringhiera ristrutturato, al numero 25 di via Diaz a Erba. Domate le fiamme, una scoperta orrenda: quattro persone uccise a coltellate e sprangate. I corpi di Raffaella Castagna, di suo figlio Youssef, di due anni e mezzo, della madre Paola Galli, vengono trovati nell’abitazione incendiata. Al piano di sopra c’è il cadavere di una vicina, Valeria Cherubini. Mario Frigerio, marito di quest’ultima, è sul pianerottolo davanti alla porta di casa Castagna, gravemente ferito: una malformazione congenita alla carotide lo ha salvato dal fendente alla gola. Azouz Marzouk, marito di Raffaella Castagna, è in Tunisia, dove vivono i genitori. Il 9 gennaio 2007 i carabinieri blindano due residenti del condominio, Olindo Romano, netturbino, e la moglie Rosa Bazzi, colf. Fra i coniugi e Raffaella Castagna si trascinavano da tempo contrasti. Due giorni dopo la coppia confessa, ma il 10 ottobre, all’udienza preliminare, ritratta tutto. Il processo in Corte d’Assise a Como inizia il 29 gennaio 2008. Il 26 novembre la condanna all’ergastolo. Sentenza confermata da Corte d’Assise d’Appello di Milano (20 aprile 2010) e Cassazione (3 maggio 2011). Oggi Olindo ha 54 anni, è detenuto a Opera, cura l’orto. Rosa ne ha 53, è in cella a Bollate, lavora alle pulizie e segue un corso di sartoria. Si vedono tre volte al mese per due ore.

Erba, 26 aprile 2016 - Incidente probatorio e gli esiti avranno valore di prova. Ma a distanza di oltre un anno da quando la difesa ha presentato la prima istanza, non è stato ancora definito qual è la sede giudiziaria competente per esaminare la richiesta e disporre, eventualmente, l’accertamento. Tracce biologiche, reperti rimasti sul luogo dell’eccidio, indumenti delle vittime, mai esaminati o esaminati in parte all’epoca, da analizzare con le strumentazioni più avanzate. Lo chiedono Fabio Schembri, Nico D’Ascola, Luisa Bordeaux, difensori di Olindo Romano e Rosa Bazzi. Un’istanza che con il tempo è diventata “ballerina”, al centro di un estenuante rimpallo legato a un conflitto di competenze fra Como e Brescia.

«In questo balletto - dice polemicamente Schembri - si è solo perso tempo. E si continua a perderlo. L’assurdo è che nessuno risponde che questo esame non può essere fatto. Ma nessuno ci dice ‘se’ può essere fatto oppure no. Noi, una volta autorizzati, avremmo fatto eseguire le analisi per conto nostro, senza disturbare nessuno. Senza dimenticare che si è corso il rischio che parte dei reperti andasse distrutta. Un anno fa l’Ufficio corpi di reato di Como aveva chiesto cosa dovesse fare di quelli in suo possesso e aveva ricevuto dalla procura parere favorevole alla distruzione. Abbiamo scritto a Como di stare fermi, che c’era il nostro ricorso a Strasburgo e che un’autorità giudiziaria doveva pronunciarsi».

«La prima volta, oltre un anno fa, abbiamo chiesto semplicemente al tribunale di Como l’autorizzazione a esaminare i reperti, quelli che si trovano a Como, quelli conservati al Laboratorio di genetica forense dell’università di Pavia, quelli presso il Ris di Parma. Siamo stati autorizzati. Lo stesso giorno, mentre i nostri consulenti stavano andando a ritirarli, è arrivato via fax a Pavia il ‘no’ del pubblico ministero di Como: doveva essere Brescia a pronunciarsi. Abbiamo presentato una istanza alla Procura generale di Brescia facendo presente che da Como ci avevano detto che la competenza era bresciana. Brescia ha risposto che era Como a dover decidere. Abbiamo presentato una nuova istanza alla Corte d’Assise di Como che circa dieci mesi fa ha emesso un provvedimento nel quale chiedeva se fosse possibile l’analisi dei reperti Sì, ha risposto da Pavia il professor Previderè, che ha fatto presente anche come fosse meglio procedere con la formula dell’accertamento irripetibile, per il rischio di deterioramento. Ha fatto l’esempio delle formazioni pilifere. L’Assise di Como ha respinto la nostra istanza dicendo che si doveva fare l’incidente probatorio e che la sede era Brescia». «Il nostro ultimo atto è stato rivolgerci alla Corte d’Appello di Brescia per chiedere l’incidente probatorio. Brescia ci ha risposto ieri: viene respinta l’istanza, che deve essere presentata correttamente a Como. È Como che deve decidere e se ritiene di non poterlo fare deve dichiarare la propria incompetenza. A questo punto faremo nuova istanza a Como prospettando anche un ricorso alla Cassazione: sia la Suprema Corte a decidere sulla competenza».

Le tracce biologiche che la difesa ritiene non siano state rilevate nelle indagini: tre presenze pilifere sulla felpa del piccolo Youssef, un capello castano chiaro lungo dieci centimetri fra la manica destra e il cappuccio; un capello nero di un centimetro e mezzo, sulla parte anteriore; due capelli su quella posteriore, all’altezza del gomito sinistro. I margini ungueali e le porzioni di polpastrelli di Youssef, mai analizzati, e le unghie delle altre tre vittime, non esaminate nella loro interezza. Una macchia di sangue sul terrazzino di casa Castagna. Mozziconi di sigaretta. Indumenti e oggetti. Un mazzo di chiavi nell’alloggio di Raffaella Castagna. Un accendino sul pianerottolo (l’appartamento venne dato alle fiamme). I giubbotti di Raffaella Castagna e Valeria Cherubini e un esame completo del giaccone di Paola Galli. La difesa dei coniugi Romano chiede anche l’esame della memoria del telefonino di Raffaella. Nella “squadra” della difesa è entrata la genetista forense Sarah Gino, consulente anche dei legali di Massimo Bossetti, processato per l’omicidio di Yara Gambirasio.